Quale futuro davanti
by albi69
Guardo mio figlio Luca, davanti a me. Ha 9 anni (“…e mezzo!”, preciserebbe lui), e come si suole dire… tutta la vita davanti. Lo guardo nella sua tenuta da trekking economica ‘made in Decathlon’. Si sente troppo fico… Siamo in campeggio per un ‘weekend dei maschi’, io e lui, in tenda vicino Tivoli.
Siamo tornati ora da una gita che non mi aspettavo così massacrante, da Pisoniano, passo dopo passo, fino su al Santuario della Mentorella, lungo quello che viene chiamato Percorso Woityla (qualcuno di importante ci ha preceduti). Io sono stravolto, malgrado quest’anno non mi sia negato un po’ di allenamento. Lui è stanco, sì, ma sembra felice. Ride per ogni stupidaggine e, mentre io preparo da mangiare, lui è lì tutto concentrato sulle sue carte di Yu-Gi-Ho (si scrive così?). Nel giro di un paio di mesi, è la seconda piccola vacanza che ci concediamo insieme. Ogni volta l’ho immaginata come l’occasione per scambiare due chiacchiere più… importanti. Ma anche stavolta mi arrendo davanti alla sua gioventù disarmante e bellissima. È ancora presto per insegnargli tante cose. Eppure mi sento addosso una grande pressione: vorrei renderlo partecipe delle mie cose, della mia vita, dei miei pensieri, anche dei miei errori, insegnargli quello che io ho imparato sulla mia pelle, in modo che lui non debba viverlo sulla sua. Ma non si può, non è il momento. Mi trattengo, e rimango in ammirazione della sua innocenza.
Ma le domande, quelle restano. Quale futuro ha davanti Luca? E cosa posso realmente fare per rendergli le cose più leggere?
Noi figli dell’Era dei Servizi, siamo stati educati per trovarci allineati con una società come quella che sta finendo, o che quantomeno è in profonda crisi. È ovvio dunque che il nostro sbandamento sia forte. Ci vengono a mancare gli appigli che ci hanno insegnato essere fondamentali per andare avanti: il lavoro, l’unione familiare, il successo personale, la capacità d’acquisto… persino la vecchiaia serena. Ci avevano insegnato che studiando, impegnandoci nel lavoro, sacrificando il nostro tempo, avremmo avuto soldi, soddisfazioni, la possibilità di accedere a status symbol e a posizioni di prestigio. Avremmo continuato così, lavoro in cambio di soldi, finché avremmo retto, poi ci sarebbe stata la ricompensa finale: una bella pensione per gli anni meno facili. Ora sappiamo che non sarà così, almeno per molti di noi. Il nostro futuro è diventato un’incognita. E se è un’incognita il nostro, figuriamoci quello dei nostri figli.
E allora adesso cosa faccio? Cosa insegno oggi a mio figlio? Nato anche lui nell’Era dei Servizi, dovrà probabilmente crescere in un’Era diversa. Qual è il mio ruolo in tutto questo? Come faccio ad insegnare quello che io per primo non so? Dovrei ‘passargli’ quello che a suo tempo è stato passato a me? Anche se sospetto che sarà totalmente inadeguato rispetto a una società che sarà probabilmente del tutto diversa? Oppure devo insegnargli il contrario, così, alla cieca, sperando di indovinarci? I modelli di ieri saranno ancora validi? Fin dal momento in cui mio figlio è nato, sono sempre stato convinto della necessità di prevedere un lungo periodo di studi per lui. È sempre stato un mio chiodo fisso: dovrò mettere via i soldi per la sua università. Adesso, non solo rischio di non avere più quei soldi, ma comincio anche a dubitare dell’utilità di un lungo curriculum di studi. Roma pullula di laureati disoccupati, e le altre città non sono da meno. E se domani fosse più utile saper fare che sapere e basta?
come mamma di due figli neo-laureandi e poche probabilità di lavoro, mi chiedo spesso anch’io se oin fosse stato meglio che si dedicassero a qualche lavoro manuale…io l’elettricista lo devo quasi pregare perchè venga a farmi una piccola riparazione, non sarebbe stato meglio davvero un orientamento diverso ?ma io non ho scelto per loro e nei miei non detti, era forse fin troppo chiaro che avrei preferito una laurea, pensando di avere una strada più spianata, e invece..così non è…confidiamo nelle loro risorse, forse sono più di quelle che crediamo.
È difficile non prendere posizione sul loro futuro, vero? Lo facciamo per proteggerli, certo. Ma in fondo rischiamo di incidere pesantemente sulle loro vite. Anche io vorrei che mio figlio studiasse. Non tanto per avere maggiori possibilità di trovarsi un lavoro (equazione tutta da dimostrare), quanto per riuscire a dare a se stesso quante più risposte possibili alle domande che in futuro porrà a se stesso. E per apprezzare meglio il valore e l’importanza della propria libertà.
Che dire?
Certo che spaventa. Il futuro ha sempre spaventato tutti.
E’ da quando sono bambino che mi sento dire che “noi” saremo il futuro ma mai me lo hanno presentato roseo.
Io che cosa insegnerò ai miei figli? Non lo so!
Io posso solo vivere con loro e sperimentare ogni giorno insieme a loro la vita perchè non c’è un’età dove l’essere umano è arrivato. L’essere umano non arriva mai se non alla morte. La società è in continua evoluzione. Io sono passato dai giradischi ad aggeggi grandi come palmi di mano che contengono intere discografie (e avanza posto). I nonni vanno a scuola di computer per mettersi al passo coi tempi.
La domanda è questa: se io in 40 anni ho vissuto questo in altri 40 cosa dovrò ancora vivere?
E insieme alla mia vita adesso mi ritrovo anche la vita dei miei figli che, ancora piccoli, non sanno ma ben presto proveranno sulla loro pelle ciò che il futuro avrà riservato per loro.
Io non ho fatto l’università e non so se l’avessi fatta adesso dove serei. Non so se i miei figli vorranno fare l’università e se sarà ancora necessaria.
So solo che insegnerò loro di perseguire sempre la strada della felicità perchè la felicità è ovunque sta a noi cercarla e farne buon uso.
Questa è la vita che abbiamo vissuto, che viviamo e che vivremo…è solo la vita.
Forse questo è veramente l’unico insegnamento che si può dar loro. Cercare di essere felici. Loro vorranno sapere di più. Ci diranno: “Sì, per me va bene, ma come faccio a diventare felice?”. E lì noi dovremo resistere alla tentazione di spiegare loro secondo noi qual è la strada per essere felici. Perché comunque il nostro suggerimento sarà sbagliato.
Beh ma prima non sarebbe il caso di vedere cosa vuol fare lui, arrivato all’eta’ dell’universita’? 🙂
Certo Sab, ci mancherebbe. Nessuno ha intenzione di obbligarlo. Però sai, non tanto adesso che è piccolino, ma fra qualche anno, nel caso si dimostrasse portato per lo studio, certi argomenti andranno affrontati, e il parere di un genitore ha comunque il suo peso, anche senza forzare in una direzione o nell’altra. Ma anche oggi che ha appena finito la quarta elementare, quando incappa in qualche ‘problema di studio’, comunque il mio primo istinto è quello di incoraggiarlo, di spingerlo ad impegnarsi, di fargli capire il valore dello studio. Ecco, comincio a pensare ogni tanto che magari potrebbe essere il caso di trattare la cosa con più imparzialità. Anche se ho sempre pensato a lui come a un futuro laureato, magari è il caso invece di considerare anche altri percorsi, soprattutto se l’andazzo economico e sociale peggiorasse ulteriormente. Comunque il senso del post era un po’ più generale, e il fatto dello studio era solo un esempio. I miei genitori, altro esempio, scottati da quello che succedeva negli anni Settanta, mi hanno sempre parlato della politica come una cosa sporca, da lasciar fare agli altri. Solo dopo ho capito che cosa in realtà è e può essere la politica. Cosa è meglio insegnare ai nostri figli? A interessarsi a una cosa che, seppur sporca, ha un’importanza vitale, oppure no? Sullo sfondo rimane il fatto che la loro vita sarà comunque loro, e su questo non ci piove. Ma alle loro domande un giorno bisognerà rispondere, e le nostre risposte avranno un peso.
Credo facessi riferimento a questo post, rispondendo al mio commento sulla storia di Devis. Sono venuta a cercarmelo per capire cosa intendessi, nel riferirti al futuro di studente di tuo figlio. Questo tuo bellissimo post mi ha fatto pensare molto… Mia madre l’altro giorno, nel mezzo di una conversazione sull’andazzo del Paese, mi ha detto: “Mi dispiace, perché vi lasciamo in eredità proprio un bello schifo”. Stavamo appunto discutendo della disoccupazione giovanile e dello sfruttamento senile che imperano in questo periodo, unitamente ad una logica basata esclusivamente sulla ragione economica e pochi valori d’altro tipo. Lì ho capito quello che i genitori vorrebbero per i figli e la sensazione che si deve provare nel lasciare un figlio nell’incertezza più assoluta.
In questi anni sono sempre rimasta sconvolta dalla tendenza dei miei a prendere sul serio tutto quello che i governi dicevano e facevano. Ad ogni riforma sulla pensione si rimettevano a fare i conti e si arrabbiavano; ogni decisione che il governo prendevano la vivevano come se fosse definitiva. Io ho sempre – un po’ incoscientemente, forse – preso in giro questo atteggiamento. Perché nel mio mondo limitato da studentessa di medie e superiori avevo imparato a capire che qualunque riforma ci fosse durava poco. I criteri per la maturità sono cambiati praticamente di anno in anno, mentre frequentavo le superiori. Ed ogni anno mi ritrovavo a dover spiegare ai miei che i rimandati a settembre non esistevano, che c’erano i debiti, che con tot debiti venivi bocciato, con meno deviti ammesso, ma dovevi saldare…e le cose cambiavano ogni anno. Loro non ci capivano niente, ma per noi era normale.
Ora capisco i risvolti estesi di queste incertezze, che non riguardavano solo le maturità, ma ogni singolo ambito in cui i governi hanno operato. E capisco anche un certo atteggiamento dei giovani, che non credono che questo sia veramente per sempre, perché le cose son sempre cambiate. Non condivido, ma capisco in pieno.
Rilassati tu sei un genitore e ti preoccupi attivamente di certe problematiche, problema che non molti si pongono. Non sarai mai un genitore perfetto, perché semplicemente non ne esistono. In qualche modo condizionerai tuo figlio, perché è naturale che sia così; molto di quello che si apprende da piccoli lo si apprende per imitazione e tutti abbiamo degli schemi mentali che ci portano ad arrivare a determinate conclusioni; tuo figlio verrà sicuramente condizionato dai tuoi. Tutto quello che puoi fare – e davvero, non è poco – è aiutarlo a conversare, ragionare, riflettere, esprimere opinioni. Aiutarlo a crescere da persona libera.
Riceverà tanti condizionamenti. Non solo i tuoi, adesso è ancora relativamente piccolino, ma prima o poi arriverà l’adolescenza e ci sarà il confronto serrato con i compagni e con il mondo degli adolescenti in generale. E allora gli servirà davvero la capacità di giudizio che puoi aiutarlo ad ottenere.
Io ti direi, ma questo è parer mio, non ti preoccupare di condizionarlo nello studio… Tu cerca di interessarlo e di fargli capire il senso e la bellezza della conoscenza, ma poi – a parer mio – potrai fare ben poco. Dipenderà tanto dalle sue inclinazioni e dall’ambiente in cui crescerà, e su questo non hai il controllo. Da studente, ho visto casi di genitori che hanno costretto i figli a seguire strade non loro, con risultato che alla fine hanno “vinto” i figli, a forza di bocciature. Ora che do ripetizioni mi vedo arrivare un sacco di ragazzini un po’ incazzati, ma soprattutto preoccupati del fatto che “studiare non è di moda”. Ragazzini vestiti tutti uguali che non vogliono passare da secchioni, perché se ammettessero che quello che studiano può anche essere bello ne andrebbe della loro reputazione.
Che mondo confuso!
Molto confuso. Le cose cambiano rapidamente, e questo non è neanche un male. Il problema è che troppo spesso cambiano in peggio. La libertà, quella vera, è difficile da raggiungere, ma è l’unica cosa che può farci veramente felici. Vale la pena cercarla, costi quel che costi.
M’hai fatto commuovere, Albi. E riflettere.
Dico solo: saper fare… saper fare!
Saper fare sarà più importante di quanto lo sia stato per noi. Ma il dubbio rimane. E se poi invece…?
saper fare anche secondo me…già quando ho fatto l’uni io si capiva che non sarebbe servito a molto…ma ci illudevamo che le cose sarebbero andate come per i nostri genitori.
ora come ora capisco che sarebbe stato meglio lavorare subito o fare un’esperienza all’estero, piuttosto che stare lì dentro. studiare è bello e utile, ma si può fare anche per conto proprio, senza bisogno del pezzo di carta: ho imparato di più da sola in pochi mesi che all’uni in 7 anni…
Sì, è quello che ho pensato anche io. Il problema è che senza quel pezzo di carta molte strade ti sono precluse. Io non ho mai finito l’Università e quindi non ho il pezzo di carta. Però a 24 anni ho superato l’esame di stato e sono diventato giornalista professionista. Oggi che non trovo più lavoro da giornalista, perché comunque siamo in tanti a cercarlo e l’assenza del pezzo di carta viene utilizzata per sfoltire il gruppone, comincio a pensare di non aver fatto la scelta giusta. Così a occhio direi che la laurea potrebbe diventare fra poco il ‘minimo’ titolo di studio per poter accedere al mondo del lavoro… Non avere il pezzo di carta domani potrebbe essere ancora più limitante di oggi… Adesso c’è una crisi che mette in difficoltà tutti, laureati e non laureati. Dopo potrebbe essere diverso.