Come siamo, visti da fuori
by albi69
Rientro da una breve vacanza a Londra, ospite con mio figlio di mia sorella che, ormai da diversi anni, vive lì. Ogni volta che vado a Londra, o che lei torna a Roma, ad un certo punto, inevitabilmente, il discorso finisce sul confronto fra le condizioni di vita a Roma e Londra, e più in generale in Italia e in Inghilterra (o nel Regno Unito per estensione). Inutile dire che lei è contentissima della scelta fatta. Nel suo caso si è trattato di passare da una situazione di paralisi professionale assoluta (nonostante un dignitosissimo percorso di studi) a una situazione di realizzazione, non soltanto professionale, che una volta da noi veniva considerata ‘normalità’ e che oggi molti giovani vedono come un miraggio.
Partita per Londra con una valigia e una stanza promessa a casa di amici, ha messo in fila un paio di esperienze lavorative qualificate, prima di quella che tuttora la impegna, l’unione con il suo compagno e, di recente, un figlio. Oggi stanno pensando di acquistare una nuova casa insieme. Come dicevo, nulla di eccezionale, semplicemente quello che fino a qualche anno fa era lecito desiderare e aspettarsi per la propria vita anche qui nel nostro paese. E che invece sta diventando quasi impossibile, non solo da realizzare, ma anche solo da immaginare. I racconti di mia sorella mi hanno fatto un’impressione particolare, era come se avendo messo il piede in un altro paese, lo avesse messo su un tapis roulant di quelli presenti negli aeroporti, nei lunghi corridoi che ti portano da un terminal a un altro, dove vedi persone che camminano a lato del tapis roulant e persone che invece ci camminano sopra. Tutti camminano alla stessa velocità, facendo lo stesso ‘lavoro’, lo stesso sforzo. Ma quelli sopra al tapis roulant arrivano prima. Ecco, è come se ‘altrove’ avessero i tapis roulant a rendere più veloce il percorso, mentre in Italia no. O meglio, è come se ‘altrove’ si possa camminare normalmente, mentre in Italia abbiamo una specie di tapis roulant che però si muove in senso contrario rispetto alla nostra direzione. Mia sorella non è l’unica persona che conosco che si è trasferita all’estero. Ce ne sono diverse, anche se con loro non ho approfondito in questo modo l’argomento. Alcuni non li conosco direttamente, ma ce li ho fra le mie amicizie di Facebook. E sempre attraverso Internet ho spesso modo di leggere le storie di altri ’emigrati’. Che sono storie diverse ma molto simili a quella di mia sorella. Se ne vanno, in genere, perché sono stanchi di rimanere ‘fermi’ (o di camminare all’indietro), di non vedere riconosciuti i loro meriti o i loro titoli, di non riuscire a fare neanche i primo passo di quello che sanno comunque essere un percorso già lungo di per se. La loro unica scelta è partire, o lasciarsi andare all’ignavia imperante, alla delusione sistematica, al contentino saltuario. Tra quelli che partono, ce ne sono diversi che si portano dietro il livore per il paese che non li ha voluti o compresi (c’è da capirli, però rischiano di non affrontare sereni la sfida che li attende), ma nella maggior parte prevale generalmente l’amore per le proprie radici, il rimpianto per la propria città, per le amicizie, per la famiglia. Quelli partiti da poco non si sbilanciano e sperano che magari la situazione possa cambiare, ma chi è fuori già da un po’, a tornare in Italia non ci pensa proprio, o magari non ci pensa più. Malgrado questo tifano per noi, sperano che un giorno riaddrizzeremo la schiena e sapremo risollevarci, salvando quanto di buono ancora non avremo fatto in tempo a distruggere. Però non ci credono molto. Vivono in altri paesi, di cui vedono i difetti ma soprattutto i pregi, fanno paragoni su dati di fatto e non sulle classiche favolette tipo… “l’Italia è il paese più bello del mondo”, “dove si vive meglio”, “dove si mangia meglio”, “c’è sempre il sole”, “il mare” etc. etc. Quando provi a dirglielo ti rispondono cose tipo: “pensa che noi la macchina non ce l’abbiamo, non ci serve”, “guadagno così bene che quando ho voglia prendo un aereo e me ne vado al mare”, “qui nei supermercati trovi qualsiasi tipo di cibo, di qualsiasi parte del mondo”, “qui piove, è vero, e in Italia c’è il sole, ma con quello che guadagno d’estate vengo in vacanza in Italia e faccio il ‘signore'”, “certo l’Italia è bella, ma non c’è più lavoro, preferisco vivere e lavorare in un paese un po’ meno bello”. Difficile dargli torto. Non ci credono, in una riscossa, perché sanno chi siamo (erano così anche loro), e sanno che di fronte alle quotidiane difficoltà, ai continui torti, all’illegalità imperante, alle rassicurazioni ipocrite, alla fine ci arrenderemo, e ci accontenteremo, oppure partiremo, come hanno fatto loro. Perché va detto che anche chi parte, a suo modo si è arreso. Partire non è facile, ovviamente, ma è sempre una resa. Più dignitosa, solo. Pare che a Londra ormai ci siano più italiani che a Roma. Tanto che i primi arrivati cominciano a chiedersi se c’è ancora posto (cioè lavoro) per tutti quelli che stanno arrivando ora. È un’intera generazione che sta fuggendo. È un danno enorme. Non solo oggi abbiamo una classe dirigente ridicola. Ma domani non avremo affatto una classe dirigente. Perché saranno andati tutti via. E chi sarà rimasto, sarà stanco, piegato, umiliato. Disarmato.
Questo ho visto da fuori. Da un oblò di un volo low cost. Come fosse uno specchio. Questo siamo.
Nella foto: Scritta antagonista e ristorante italiano a Londra – luglio 2013 – Viaggioleggero ©
Caro Alberto, credo tu sappia già come la penso e in effetti quanto scrivi è totalmente aderente al mio pensiero e alla mia personale esperienza. Come sai, essendo dal 1 gennaio un “diversamente occupato”, vedo le cose non più da un solo punta di vista teorico. Mi baso sull’esperienza personale, quella fatta in anni di viaggi all’estero dai quali tornavo con osservazioni come quelle da te riproposte sentendo sempre le più banali risposte: “ma vuoi mettere Roma?” “se lo sognano il nostro sole” “e va bene, ma vuoi mettere il nostro clima, il nostro cibo, il nostro saper vivere (???)…per non parlare di quelli che sostengono che solo da noi si riesca a sopravvivere perchè la vita in altri paesi costa uno sproposito. Vedi, io oggi sto sopravvivendo grazie a inglesi, tedeschi e americani, perchè loro comprano quello che ho da vendere e che qui in Italia vale circa un quinto di quello che pagano loro. Secondo te, lo produco per gli italiani o per gli stranieri? Secondo te vivrei meglio in Italia con il reddito da italiano o a Londra con quello inglese, con i loro trasporti, con il loro sistema fiscale, con il costo della vita in generale che a dispetto di quello che chi non viaggia se non per turismo pensa, è inferiore al nostro se rapportato al reddito…In Italia le mie opportunità di lavoro come quelle di tanti altri sono limitate, poi non essendo un affiliato politico di questa o quella corrente per un mestiere come il nostro lo sono ancora di più. Inglesi e americani, pur conoscendomi già da oltre un decennio, mi hanno chiesto semplicemente di buttargli giù qualche idea, e io, preso dall’angoscia tipicamente italiana di chi deve proporre 100 per ottenere 2 al massimo 3, ho proposto 100 sentendomi dire ok per 100, con il risultato che mi sono messo in clausura per due mesi consecutivi. Questo per dire che fuori da qui la mentalità è molto diversa, è concreta, guarda al risultato quindi attinge alle competenze e questo ha un valore. Io me ne andrei domani mattina caro Alberto, devo convincere chi ho intorno che questa è l’unica opportunità per vivere in modo degno il futuro e soprattutto offrire ai figli opportunità che qui non avrebbero. L’italia è bella, ma per venirci in vacanza, per lavorare e vivere serenamente bisogna andare fuori di qui, purtroppo. Sai quanto sia animato da sentimenti “patriottici”, ma tutto questo è finito ormai, quando mi sento dire “sì certo che ci interessa, 50 euro a pagina va bene?” oppure “se vuoi ti concedo spazio sul mio giornale così la tua firma continua a girare” oppure “io più di 350 euro spese comprese per questo articolo non posso dartele (le spese erano di 200 euro)”. I giornali stranieri? Per loro il tuo pezzo ha un valore perchè lo fai tu e non altri, perchè scrivi cose che da altri non si aspettano, perchè intercedi con gli interessati tu e non altri, insomma, non comprano a cottimo, comprano quello che puoi dargli veramente in termini qualitativi e lo pagano…soprattutto pagano quanto pattuito quando pattuito. Quando vado in Germania – credo che sia noto a molti quanto mi duole dover prendere proprio questo esempio – mi accorgo che per andare da casa mia all’aeroporto spendo 8 euro di biglietto più due di agenzia perchè non c’è biglietteria in zona per un treno abbastanza datato in una stazione abbastanza abbandonata e malmessa (Villa Bonelli) senza nemmeno biglietteria, arrivo a Dusseldorf e spendo 2,50 euro per un treno che sembra costruito ieri, che arriva puntuale, in una stazione pulita, ben messa e con biglietteria attiva 24 ore al giorno dove puoi pagare in contanti o in qualsiasi altro modo. Allora, se io spendessi i 2,50 a Roma e i 10 a Dusseldorf direi che sì, hanno bei treni e belle stazioni e servizi efficienti, ma quanto costano! Noi abbiamo un po’ meno, ma alla fine con un quarto della spesa il risultato finale non cambia (cioè arrivo all’aeroporto…). Adesso, considerando che è l’esatto contrario, bisogna aggiungere che uno che fa il mio mestiere in Germania guadagna se è un novello il doppio di me e per contratto, allora il loro treno non costa più un quarto del mio, ma un ottavo! Se poi vado a cena al centro della città e mangiando bene e non poco (sono certo che tutti quelli che mi conoscono ci credono) spendo un terzo di quello che avrei speso in Italia nella medesima situazione, allora i conti non tornano. Però l’Italia è l’Italia! Eh, vuoi mettere? Ho visto come fa la dichiarazione dei redditi il mio amico tedesco per il quale lavoro, lui il suo reddito ha piacere di costruirlo, perchè non è come qui da noi dove sommando la tassazione, gli enti previdenziali e tutto il resto lascio sul terreno il 70% del fatturato, con cui poi devo pagare l’IMU, i bolli della macchina, l’iva sui prodotti acquistati, la tassa sui rifiuti, l’assicurazione capace di sopperire alle mancanze del sistema sanitario nazionale…bella l’Italia, se se potesse vedè! Perchè io so di avere vicino monumenti, panorami fantastici, siti archeologici e tutto quello che solo qui abbiamo, peccato che vivendo qui non ho tempo di vederli e risorse per andarci in vacanza.
Caro Angelo, è proprio questo il campanello d’allarme più tetro. Il fatto che ci siano giovani di 20-30 anni che vanno a cercare fortuna all’estero è quasi normale, se non nei numeri, almeno nelle dinamiche. Ma se ci sono interi nuclei famigliari che prendono e si spostano, e ce ne sono sempre di più, proprio a Londra, per esempio, allora non è più normale. Perchè se a 40-45 anni, un uomo, sposato, con figli, è costretto a partire, da solo o con tutta la famiglia, non lo fa per avventura, ma per disperazione, per mancanza di alternative. E un paese che non riesce a trattenere né giovani, né famiglie, è un paese morto… bello, ma morto…
Beh, tutto vero.
Però forse è anche vero il contrario. Ricordo anni fa l’esperienza di tanti giovani entusiasti partiti per la Spagna, a fare le stesse cose che facevano in Italia, stesso precariato, stesso salario appena dignitoso, ma pieni di entusiasmo, di voglia di vivere e di speranza. Adesso la Spagna ha uno dei tassi giovanili di disoccupazioni più alti d’Europa, non so se quei giovani siano ancora lì o se abbiano cambiato aria, se hanno ancora tutta quella intrepida fiducia nel futuro e nel paese che li ha accolti… Ma forse tutto il mondo è paese e l’atteggiamento psicologico personale, individuale è molto più importante di quello di una collettività a cui i media ti dicono di appartenere, ma che in realtà è una costruzione mediatica.
Io on sono l’Italia, alla fine sono la mia casa, il mio giardino, i miei gatti, la mia busta paga, il mio precariato, le mie gioie e i miei dolori. Se li globalizzo pensando al resto del paese sto vivendo una vita virtuale. E questo penso sia valido sia a Londra, che Madrid o Milano. Si guarda molto “fuori”. E’ giusto. Serve a sopravvivere. Ma senza il necessario equilibrio diventa fuorviante. Per esperienza so che si può essere un povero sfigato in mezzo alla ricchezza e un fortunato riccone in mezzo alla povertà. Occorre molto discernimento e la capacità di sfuggire ai modelli sociologici. Il modello non guarda chi sei, anzi cerca di appiattirti per contabilizzarti meglio. Io forse non sono mai stato bene come adesso. Non vuol dire che le cose siano messe benissimo, ma che c’è stato un tempo in cui erano ancora peggio.
Ciao.
Quello che dici è in parte vero… ma suona anche come un altro modo, magari meno cinico, di dire “basta che sto bene io”… Io credo che un conto è crearsi un proprio equilibrio, un altro è ritenersi altro dal sistema paese in cui vivi. Se i giovani sono costretti ad emigrare per cercare una vita dignitosa, è un brutto segno. Se il paese si accartoccia su se stesso, non è un buon segno. Se sempre più persone a 40-50 anni si trovano con un lavoro precario, non è un buon segno. E alla fine ne risentiranno tutti, anche all’interno del proprio orticello.
Dipende dalle esperienze di vita: mia madre, padre, nonno, nonna, tutta la famiglia insomma siamo stati emigrati e siamo cresciuti da emigrati. 2500 km. All’inizio senza conoscere la lingua, anni ’60. mia madre 18 anni, mia nonna più di 40, mia zia a scuola piccola senza capire niente, sempre a piangere. Sono sopravvissute e hanno prosperato, forse non come avrebbero potuto, tanti sbagli, ma non hanno mai chiesto nulla a nessuno Stato. 3 giorni e due notti in treno per tornare in sicilia per le vacanze
Io ho il mio orticello, emigrato a “soli” 1600 km circa. Mi trovo bene.
Sono molto limitato, non riesco neppure a concepire che una persona non voglia sacrificarsi uscendo dai prorpi confini, è questa la vita. Setto questo, parlando dell’orticello. Il problema non è l’orticello, il problema è non gravare sugli altri, sullo Stato. Così si finisce sul gravare sugli altri con la pretesa di uscire dall'”orticello”. L’orto è sacrosanto, permette di organizzarsi e vivere. Il problema, oggi, non è tanto “aiutare gli altri”, ma smetterla di pesare sugli altri con tutte le funzioni e i “diritti” sociali che questo comporta.
C’è una visione distorta della realtà economica, e c’è pure una distorsione della spesa e degli investimenti, lunga storia, ho svolto una tesi di laurea di 500 pagine sui sistemi di sicurezza sociale. Diciamo che se ognuno avesse il proprio “orticello” e lo coltivasse con cura non chiedendo aiuti alla collettività ormai esausta, le risorse disponibili basterebbero per tutti. Per chi ha bisogno davvero.
A proposito: mio padre è andato in pensione con un lavoro precario. Ha maturato i contributi grazie al lavoro svolto in gioventù in Francia. La “crisi” dell’occupazione in realtà in Italia c’è sempre stata, solo che adesso ha investito anche il centro-nord italia. E’ come la crisi del ’20 negli USA di cui ci si accorse solo quando la povertà finì di colpire solo i neri. La cui condizione non cambiò. Erano poveri, poveri rimasero, e nessuno se ne preoccupava. In Italia è lo stesso. Il sud è sempre emigrato all’estero, ove estero è anche il nord. il problema vero si presenta quando non c’è più dove emigrare.
Sicuramente. E bisognerebbe anche che chi è chiamato a prendere decisioni per gli altri, a fare scelte che coinvolgono il futuro delle persone, pensasse di più al bene del paese. I primi a smettere di approfittare della collettività, dovrebbero essere loro.
Ma non si può aspettare che altri “facciano” (ciò che sarebbe giusto, onesto, proficuo, etc….). Non è così la vita. E’ interessante il commento del lettore in questa pagina, parla della Germania, terra di approdo di tanti emigrati del sud Italia e non solo. Mio zio che ha costruito una vita laggiù mi racconto che c’era emigrati che sfruttavano il generoso (una volta) welfare tedesco facendosi pagare anche l’affitto e le bollette della luce, altri, sempre emigrati, che si rivoltavano a questo modo di fare e pensavano ad “arricchire” col loro lavoro il paese che li ospitava invece di sfruttarlo. Chio è intelligente, chi scemo, boh… Fatto sta che una parte produceva, l’altra dilapidava. Ora, non parliamo dei governanti, guardiamo al Paese, quello vero, fatto di gente che ha arricchito sé stessi e gli altri e di chi invece continua a divorare risorse. Magari legalmente e magari senza sapere che non è cosa buona dato che è cosa diffusa.
Però si parte da lì. dimostra qualcosa che ho sempre saputo: c’è una parte della popolazione che “attende” dallo Stato. E altri che non attendono, chiudono baracca e burattini e partono. E quando arrivano, probabilmente, dato che oggi partono i migliori e non i peggiori, non sfrutteranno lo stato di approdo ma lo arricchiranno. e se tutti facessero così nel proprio paese saremmo noi la Svizzera o la Londra in cui si recano i giovani. E non esistono politici e potenti più onesti del popolo che governano, e oggi l’asticella media dei valori è posta troppo in basso. Il politico non è il primo a smettere di approfittare, è l’ultimo. L’ultimo di una catena di approfittatori. Altri stati più virtuosi non hanno politici migliori, hanno una popolazione più intollerante, meno accondiscendente ai maneggi e alle ruberie. Probabilmente perché anche più severi con sé stessi rispetto all’italico furbastro.
Non capisco perché parli di persone che aspettano un non ben specificato aiuto dallo Stato. Quando io dico che tocca a chi ci governa fare qualcosa (ammesso e non concesso che sia ancora possibile), non parlo di distribuire soldi a destra e a sinistra come fosse elemosina. Quei ragazzi se ne vanno perché non ci sono più aziende, anche private, disposte a scommettere su di loro. E i privati non assumono più perché il costo del lavoro è troppo alto. E il costo del lavoro è così alto perché lo Stato ha ‘fame’ di soldi. Ha fame di soldi perché è incontinente, non riesce a contenere le spese e gli sprechi. Quindi tocca allo Stato, al Governo che i cittadini eleggono fare qualcosa. È un suo dovere e un mio diritto. Questo non toglie che io possa anche decidere di risolvermi da solo il mio problema, in qualche modo. Ma senza un intervento di tipo strutturale, il problema generale non si risolverà mai. E pensare che tutti possano risolversi il problema per conto loro, ‘basta volerlo’, scusa… ma non regge. Credo che la stragrande maggioranza di chi è partito, invece di arricchire la Germania, l’Inghilterra o gli Stati Uniti, avrebbe preferito rimanere ad arricchire l’Italia. Ma non c’erano le ‘condizioni ambientali’ necessarie. Che poi gran parte dei cittadini non siano migliori dei politici che eleggono, posso essere d’accordo con te. Ma anche questa affermazione lascia il tempo che trova, visto che la nostra democrazia ha visto nascere i suoi migliori governi quando la maggior parte dei cittadini era ancora analfabeta, ignorante e poverissima. Evidentemente la politica era ancora concepita, da chi la praticava, come un’arte nobile e non come una professione.
Rispetto la tua opinione, che naturalmente sarebbe auspicabile divenisse realtà, ma non credo proprio sia così. Cmq, il costo del lavoro italiano è alto perché ci sono valanghe di pensioni e pochi lavoratori, in generale molto welfare e poco lavoro. e sprechi a non finire. e evasione fiscale e contributiva a non finire. E un nord con le regioni tra le più ricche d’Europa e il Sud che ha le regioni tra le più povere d’Europa. E non c’è soluzione a questo perché il Paese può crescere quanto vuole, ma se c’è una voragine a sud che assorbe tutto non riesce cmq ad assicurare un livello di benessere diffuso. O si agisce al sud (ma è chiaramente impossibile ottenere qualcosa) oppure non si riuscirà comunque. La “fame” di soldi dipende da scelte che nel breve periodo “arricchiscono”, nel lungo periodo “impoveriscono”, come ne “la cicala e la formica”. Che abbiamo una classe politica inutile e sprecona è risaputo, ma questa è. E non migliorerà. Se a uno non piace fa prima ad andarsene che a cambiare l’Italia: andarsene lo fa in un ora, cambiare l’Italia non riesce. Non siamo d’accordo penso perché sono una persona molto concreta, vedendo la struttura italiana non penso affatto che possa essere cambiata e la vita è una sola, si fa una scelta decisa e si agisce. Inutile aspettarsi aiuti, anche dalla politica, soprattutto dalla politica. non voto da dodici anni infatti, e mai una volta che mi sia pentito, anzi.
Per quanto riguarda il “non specificato aiuto”. Posso specificarlo eccome. Però si dovrebbe credere che lo Stato, i partiti, i politici, spreca e getta soldi per ottenere consenso politico e territoriale, però magari uno non ci crede che questo succede. Magari uno non crede che c’è chi non ha niente e chi è letteralmente coperto di soldi (“gli amici). Mi fermo qui. Cmq rispetto chi ancora crede nella politica e nelle istituzioni, nella loro capacità di creare un sistema equo, io non ci credo e agisco di conseguenza, in un certo senso “come se lo stato non esistesse”. La vita è una guerra, non ci sono arbitri che regolano una situazione, c’è solo fortuna troppo spesso, e nient’altro, se non sei fortunato è meglio andarsene. Conosco persone che stanno programmando un trasferimento nel Mozambico, dico, il Mozambico, e che gli dici a questi: aspetta che lo Stato faccia qualcosa? No, gli dici “non aspettarti niente da nessuno e vai”. Se poi qualcosa arriva bene, ma tu vai… Vai e vivrai. Rimani e fai lo schiavo.
Beh, i nostri punti di partenza sono diversi, ma la conclusione è la stessa. Anche io, se avessi dieci-quindici anni in meno (e magari non avessi una famiglia), oggi me ne andrei. E magari proprio perché non mi sento di farlo, nutro ancora qualche lieve speranza nel cambiamento. Certo… il Mozambico…
Mia nonna è andata in Francia dopo i 40, con tre bambine, appena arrivata gli è venuta la depressione che non l’ha mai più abbandonata. Mia zia bambina è andata lì e piangeva sempre perché non conosceva la lingua. Poi, nel tempo, è diventata la segretaria dell’Amministratore delegato di una multinazionale italiana in Francia. Certo è meglio andarci da bambini e dipende dal carattere che hai. Alcuni non ne escono, soprattutto donne ho visto: quando lasciano tutto per ricominciare ad una certa età, finiscono col disprezzare quello che hanno lasciato (che li ha costretti ad andarsene) ma al tempo stesso entrano in depressione cronica.
E tante altre storie che ho vissuto sulla mia pelle.
Bene. col senno di poi posso dire una cosa: meglio andarsene in un posto non tuo ma promettente e curarti la depressione magari assistito da un servizio sanitario efficiente nella nuova nazione piuttosto che andartene e poi tornare indietro. Se vai e torni indietro la depressione rimane comunque e ti ritrovi nello stesso bordo di prima. Tu CREDI che sia cambiato qualcosa e che sia il momento di tornare. In realtà non è cambiato niente e passi dalla padella alla brace. Mai voltarsi indietro, mai. Possono esserci eccezioni, vero, ma riguardano i grandi successi personali, le grandi avventure, etc… Tornare sì ma come turisti e non lasciare mai il paese estero che ti ha garantito prosperità. Lo dico per esperienza personale e familiare: andarsene e divenire parte del luogo in cui vai a vivere, integrarsi e costruire lì qualcosa di nuovo. Poi con gli aerei low cost se uno vuole va a ritorvare la famiglia in meno tempo di quanto impiego io a sbrigare una pratica amministrativa a Milano centro, garantito.
Ciao.
Per non parlare di Skype, vedo le NONNE che comprano il PC per vedere OGNI GIORNO i nipotini, ooohhh! prima ste’ cose non potevi farle neppure se la famiglia di tuo figlio abitava a cinquanta km!!!! Le distanze si sono abbattute, la paura è culturale! Mondo boia, da Milano arrivo prima in Polonia che in Sicilia, occorre uscire dall’immobilismo, come si produce ormai per l’estero occorre “istruire per l’estero” il “made in Italy non deve riguardare solo i prodotti, ma soprattutto le PERSONE, siamo in troppi in Italia per un paese che non crescerà comunque, che è morto ma anche per motivi naturali, siamo 50 milioni, ohhh!!!! Ci sono paesi che hanno potenzialità di crescita che l’Italia non ha più, non aspettiamo di trasferire il mondo in Italia, usciamo noi verso il mondo!!!! E’ più facile spostare una persona VERSO L’ESTERNO che spostare Un’intera ECONOMIA verso l’interno!!!!!
Ho fatto un anno di militare con appena il necessario per sopravvivere a 1780 km da dove abitavo, oggi il militare non c’è più, dovrebbero rimetterlo: tutti i giovani devono uscire dall’Italia per almeno un anno, devono andarsene come obbligo, un anno, non avranno più freddo, fatica e umiliazioni di quelle che si subivano nella naia, in balia di teste di Caxx…. dopo ste’ cose le dimentiche, anzi ci ripensi divertito, allora fuori per un anno, che vada bene o vada male deve divenire un obbligo, poi magari alcuni rientrano e altri trovano quello che gli piace, ma almeno hanno conosciuto qualcosa di diverso, magari migliore, ma sono cose che rimangono per la vita, devono andarsene tutti e tutte, un anno di “servizio estero” come fanno i mormoni (due anni), rientrano più ricchi se non rientrano è meglio per loro!
“Fuga di cervelli”? Ma stiamo scherzando? Anche se metà dei giovani in gamba va via, quelli che rimangono sono più che sufficienti per rendere l’Italia un paradiso se sono ne avessero la possibilità, devono andarsene perché ci sono TROPPI cervelli, TROPPI laureati, TROPPI impiegati, TROPPE persone che parlano due-tre lingue e non si riesce ad assicurargli un lavoro dignitoso in relazione a ciò che sanno fare. Militare, servizio estero, un anno, anche se non vogliono, neanch’io volevo ed è stata dura, ma è così che si vive! Ai tempi non c’era il cellulare con skype o il wi-fi all’autogrill o nelle librerie che telefoni gratis e vedi pure papa e mamma sul telefono, c’erano cabine telefoniche con le monete mentre fuori era buio e tutte le 4.500 lire al gg che mi davano che andavano via così.
L’Italia è viziata? Se vuole più di questo sicuramente sì. Solo che non se ne accorge. Pensa sia normale. L’Italia si è costruita così. Con le sofferenze prima che con le opportunità. E posso assicurare che allora, inizio anni 90 non era più onesta di oggi, anzi, le caserme erano luoghi di furto, spreco, contrabbando, sopraffazione, e spesso violenza. Ogni tanto si suicidava qualcuno. E il paese cresceva lo stesso. Oggi si sta meglio eppure il paese crepa. Nessuno ti obbliga ad andartene da casa. Si preferisce oggi o gli anni 50-60-70-80? Si preferisce ieri? OK, ci si sacrifichi come ieri allora.
Beh, l’idea del servizio estero obbligatorio è geniale!