Differenze
by albi69
Non so se magari si è saputo in giro, d’altra parte se ne è parlato poco…. ma a Roma nei giorni scorsi è nevicato. Essendo stata la cosa ampliamente prevista, venerdì scorso ho deciso di muovermi con i mezzi pubblici, e tornando a casa la sera ho usato la metropolitana. Sono salito in centro, a Piazza di Spagna, e ovviamente ho beccato anche tanti turisti che, loro sì con le facce un po’ sorprese dall’estemporaneo fenomeno meteo, si spostavano, immagino, verso i loro alberghi-b&b-casevacanza. Mi sono scoperto a riflettere sul loro modo di vestire, soffermandomi sui giovani in particolare. Se non fosse per le scarpe, dove si nota una certa predilezione per la sneaker sportiva, tutto il resto è totalmente anonimo e piuttosto minimal. Difficile vedere addosso a teenager o ventenni e trentenni spagnoli, tedeschi o inglesi, giacche o giubbini firmati, felpe di marca o pantaloni griffati. Al massimo qualche concessione viene fatta all’abbigliamento tecnico, e allora spunta qualche giacca a vento The North Face. Liquidare il tutto con il classico “non si sanno vestire” mi sembra un inutile esercizio di sciovinismo. Inevitabile è scattato il paragone con i pari-età nostrani, che invece ostentano marche ed etichette come fossero polli al supermercato. Ora, non vorrei sembrare uno di quei vecchi rompiscatole che “chissà dove andremo a finire”, “i giovani d’oggi sono così e cosà”, “non c’è più religione” ecc. È vero che il consumismo è consumismo ovunque, anche in Spagna, in Germania o nel Regno Unito, ma non è che forse qui da noi i giovani non vengono educati adeguatamente di fronte al bombardamento pubblicitario e modaiolo cui siamo sottoposti? Essendo giovani consumatori, forse avrebbero anche bisogno degli strumenti necessari per analizzare e razionalizzare i loro consumi. Perchè non si debbano risvegliare passati i quarant’anni, a rincorrere uno stile di vita diverso e più salutare, come qualcuno di mia conoscenza…
Caro Alberto, in effetti una spiccata attenzione alle marche nel vestiario è uno degli elementi che contribuisce, a mio avviso, a rinchiudere molti in quelle gabbie sociali della quali abbiamo anche già parlato. Come sai frequento molto l’estero per ragioni di lavoro, e questa tua osservazione la trovo fondata e non priva di riscontri. Anche se, l’argomento è un circolo vizioso, perchè proprio la propensione all’acquisto di generi per ragioni diverse dalla marca che recano, rende possibile acquistare in altri paesi oggetti qui da noi ritenuti quasi “di culto”, a prezzi decisamente più moderati. Naturalmente tutto questo risponde alla “spietata legge dei mercati”, ma si deve anche notare che in diversi paesi europei e non, l’alternativa alle marche note non è fatta di oggetti qualitativamente scadenti. Oggi (arargh!) ho perso un paio di guanti acquistati in Germania sette anni fa presso uno di quei negozi anonimi che hanno un po’ di tutto, li avevo pagati solo pochi euro, non ricordo quanto con precisione ma di sicuro molto poco. Bene, non recavano alcuna marca, ma erano ben fatti, comodi e anche caldi. Indubbiamente a Dusseldorf avrei anche potuto trovare guanti di chissà quale marca, ma l’alternativa di qualità c’era. Con questo non voglio giustificare senza riserve la rincorsa della marca, ma voglio solo dire che la tua auspicata variazione di costumi nella scelta degli oggetti che acquistiamo, potrebbe produrre anche il fenomeno già diffuso in altri paesi, ossia, una concorrenza più allargata che non si combatte tra marche note e basta, ma anche tra chi vuole semplicemente proporre oggetti di qualità a prezzi “giusti” e che non necessitano del sostentamento dei costi di “brand imaging”. Secondo me l’atteggiamento di rifiuto verso l’oggetto non identificabile come di questo o quel marchio è criticabile, perchè produce posizioni di forza sul mercato spesso ingiustificate dalla qualità stessa dei prodotti con marchio. Devo dire che da questo punto di vista secondo me abbiamo molto da imparare dagli olandesi, popolo che frequento spesso per lavoro e che ogni tanto mi fa scoprire qualcosa di interessante, non senza che io ricambi con colpi di italianità positiva tanto apprezzati (un po’ di sano campanilismo ci vuole). Pensa che un mio amico olandese una decina di anni fa mi fece conoscere un’azienda del Sud del paese che produceva accessori per moto, dove ho comprato di tutto, guanti estivi e invernali, sottocasco, pantaloni impermeabili, stivali, insomma, di tutto. Per darti una misura di quanto sto dicendo, un paio di guanti invernali a tre strati con esterno in pelle e rinforzi e bla bla bla, lo pagai allora circa un quinto di quanto costava qui da noi il corrispettivo noto a tutti. Non solo, li sto ancora usando, con la stessa soddisfazione con cui ho usato i guanti tedeschi fino a questa mattina, anzi, me ne avanza uno, destro, se a qualcuno serve…
Assolutamente d’accordo. Io ho decisamente cambiato atteggiamento verso le marche (ho dato abbastanza). Ho deciso di spendere generalmente poco per vestirmi, pur lasciandomi degli spazi di spesa per cose particolari, più tecniche se vuoi. Lì dove la composizione del capo, il tessuto, la costruzione offre prestazioni d’eccellenza, sono disposto a spendere (magari aspettando i saldi). Ma il brand non sarà più determinante nella scelta.