Quando perdi il lavoro
by albi69
Alcune sere fa ho conosciuto il papà di un compagno di scuola di mio figlio. Una persona simpatica ed educata. Un po’ timida, forse, o almeno questa è stata la mia prima impressione. Solo dopo esserci salutati, ho saputo che quella persona aveva da poco perso il lavoro. Quella timidezza era, probabilmente, insicurezza, dovuta a una causa che io ben conosco. Perdere il lavoro, in questo periodo, è un’esperienza molto difficile. Non so se ha senso, ma mi verrebbe da dire che è più difficile che in altri momenti, se non altro perché ora è molto più complicato trovarne un altro, di lavoro.
La crisi economica ha minato pesantemente il mondo del lavoro nel nostro Paese. Malgrado certi ottimismi, la sensazione di molti è che per tornare a stare meglio passerà ancora tanto tempo, e che nel frattempo potremmo andare a stare anche peggio. Proprio per questo perdere il lavoro e, con esso, buona parte delle proprie sicurezze, oggi più che mai può essere un’esperienza devastante. Parlo, anzi scrivo, per esperienza personale. A me è successo poco prima che iniziassero a soffiare forte i venti della crisi. Era ancora una brezza leggera, ma dalle mie parti, nel mondo dell’editoria, le saracinesche già venivano giù. Spiegare come ci si sente quando succede una cosa del genere, richiederebbe un post a parte, o forse addirittura un blog a parte. Per quanto mi riguarda si sono succeduti, in ordine sparso, uno smarrimento iniziale per l’improvviso cambiamento dei ritmi di vita, l’incredulità per non riuscire a trovare un altro lavoro come quello che avevo perso (il mio lavoro), la delusione per un sistema di ammortizzatori sociali strombazzato a destra e sinistra ma che si è dimostrato a dir poco farraginoso, e burocratizzato all’inverosimile, lo schifo per la legislazione folle che regola in Italia le procedure fallimentari di un’azienda, il panico davanti all’impossibilità di trovare un qualsiasi tipo di lavoro (non per forza il mio) che mi desse un minimo di sicurezza sul futuro nonché un reddito vagamente somigliante a quello che avevo. Il timore di non riuscire più a recuperare il mio status professionale (e il mio abituale reddito) è diventato prima una paura radicata, poi panico profondo, di quello che non ti fa dormire la notte, infine vero e proprio terrore per un futuro oscuro e senza speranza.
Oggi per me le cose non sono cambiate, allo stato pratico. Le mie condizioni economiche sono sempre piuttosto critiche, e l’andazzo generale non mi fa pensare che potranno migliorare granché a breve. Le mie entrate sono basse. Sto facendo molte rinunce e temo che altre dovrò farne a breve. Però qualcosa è cambiato. Ho raggiunto una nuova consapevolezza. Ho cominciato a guardare alla mia vita in modo diverso, mi sono reso conto di molti errori fatti in passato, non solo dal punto di vista pratico, ma anche dal punto di vista mentale. Ho analizzato il mio stile di vita e, per quanto alcune cose sinceramente le rimpianga, ho capito che si trattava di uno stile di vita sbagliato, e per certi versi assurdo. Insomma, tante cose le ho capite, tante le sto capendo, forse altre le capirò in futuro. Certo, di momenti bui ancora me ne capitano, e lo sconforto, la sensazione di fallimento, la depressione, sono sempre dietro l’angolo. Ma pian piano mi sto convincendo che in futuro guarderò indietro a questo presente con meno malinconia e più gratitudine.
È sulla spinta di questa mia esperienza che su questo blog voglio cominciare nei prossimi giorni a pubblicare una serie di ‘consigli’ per chi ha da poco perso il lavoro o lo sta perdendo. Consigli che in parte potranno sembrare banali. Ma ci saranno, lo garantisco, anche cose meno scontate. Certo il mio percorso, le mie convinzioni e dunque la mia storia, non potrà essere identica a quella di tutti gli altri. Io lavoravo nel mondo dei servizi, dell’editoria, ero un giornalista. La mia esperienza professionale, le mie ‘abilità’ sono diverse da quelle che ha per esempio un operaio addetto alla pressa. Io sono sposato, ho un figlio. Oggi perde il lavoro anche il single o il padre/madre con tre figli. E le situazioni cambiano. Proprio per questo non tutto quello che scriverò sarà pienamente condivisibile. Ma sono convinto (lo spero) che tra le righe si riesca comunque a trovare qualcosa di interessante e da poter adattare alla propria situazione.
Sono travestiti da consigli, ma vogliono essere soprattutto una carezza e una parola di conforto.
Chi scrive è una donna di 31 anni .. che da troppo tempo ormai non fa altro che fare dei gran giri a vuoto nella speranza di sentirsi dire di aver trovato uno straccio di lavoro che abbia ancora tra le sue righe il concetto base di serieta’… No, non c’è.. e non so piu’ davvero dove sbattere la testa…
Ciao Piera. È difficile. Soprattutto oggi. Ma non bisogna mollare mai. Io sono rimasto senza lavoro a 40 anni. Dalla mia avevo una professione seria, una grande esperienza e buoni contatti. Eppure non servivo più. Mi sembrava un incubo. Ho provato e riprovato, senza risultati apprezzabili. Poi uno dei tentativi fatti più per disperazione che per altro, è diventato un piccolo impegno e un piccolissimo reddito, poi gradualmente sempre più impegnativo ma anche remunerativo. Oggi mi impegna 6-7 ore al giorno, a volte di più, e costituisce l’80% del mio reddito annuale. Che non è più alto come prima. Non faccio più lo stesso lavoro, la mia amata professione. Non sono più un ‘impiegato’, e questo lavoro il prossimo anno potrebbe anche non esserci più. Ma il vuoto vissuto durante tutti quei mesi di ricerca ansiogena ora è un ricordo. Il ricordo di un’esperienza che spero di non dover più vivere. Continua a cercare, non fermarti. E approfondisci qualsiasi opportunità si presenti, anche se sembra ridicola, poco seria o indegna… Non si sa mai…
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Vi consiglio questo post di viaggioleggero (e gli altri che scriverà sull’argomento) perché mi sembra molto interessante, soprattutto avvicinandosi al Natale che sarà per tutti i nuovi disoccupati un momento ancora più deprimente.
Anche se ad oggi ho un lavoro, mi sento costantemente in bilico da quando è iniziata “la crisi”…come un po’ tutti credo. E comunque mi ritrovo in quel senso di imbarazzo: ci sono passata nei 2 anni di nulla totale tra la fine dell’università e il mio primo lavoro (e quando dico nulla intendo neanche una serata da cameriera, non mi voleva nessuno perché ero laureata…e pensare che fino a 2 giorni prima lo facevo abitualmente, da studente…).
Buona lettura!
Grazie! 😉
aspettiamo il prossimo 🙂
Arriva, arriva…
[…] non mi voleva nessuno perché ero laureata…
Io a pochi mesi dal diploma di maturità mi son vista rifiutare un colloquio in un negozio perché ‘troppo qualificata’. Sic!
Ho sentito però parlare di un piccolo stratagemma adottato da un professionista in cerca di occupazione, che incappando in questi ingranaggi ha pensato di modificare (falsare…) il proprio cv dichiarando competenze e qualifiche inferiori a quelle reali.
Non so cosa possa comportare legalmente (mi auguro che il de-qualificarsi, pur se rimane un falso, non sia considerato alla medesima stregua dell’attribuirsi titoli che non si hanno); ma se voi ne siete al corrente dite, dite.
Beh, non credo che comporti alcunché, poi dipende da quello che ci metto sopra. Se ti scrivo che ho il diploma di liceo scientifico (e in realtà sono laureato), non mento, perché io il liceo l’ho fatto e la licenza superiore ce l’ho…
[…]non mi voleva nessuno perché ero laureata…
Io a pochi mesi dalla maturità mi sono vista rifiutare un colloquio in un banale negozio perché ‘troppo qualificata’. Sic!
Ho sentito in TV un professionista, e non sarà l’unico, che pur di tentare di farsi assumere anche per lavori più umili di quello per cui aveva studiato ha modificato il proprio cv togliendosi qualifiche e competenze…
… voi sapete per caso cosa questo, che rimane pur sempre una dichiarazione di falso, può comportare?
Mi auguro non sia equiparato al dichiarare competenze e titoli che non si possiedono, lo trovo ben diverso.
bella, bella, bella idea
grazie, grazie, grazie mille!
Caro Alberto, sai bene che non condividiamo solo la professione, ma anche una sorte che di diverso ha solo i tempi. Io il lavoro non l’ho ancora perso ma come ben sai è una storia già scritta, un articolo pronto solo a ricevere il suo “visto si stampi”. Conosco bene il tuo stato d’animo, ne parliamo spesso tra noi, anche se non ho ancora avuto l’esperienza di chi il lavoro lo ha già perso ed è passato per tutta la burocrazia degli ammortizzatori sociali e quello che comporta in termini pratici, o meglio economici. Vivo questa sensazione di precarietà lavorativa da ormai troppo tempo per non conoscere i sintomi che tale situazione può generare in chiunque, single o padre come noi, per questo mi sento di commentare il tuo post ringraziandoti per l’iniziativa che sicuramente a qualcuno sarà di conforto. Come sai, da oltre un anno e mezzo ho reagito all’ansia generata da questa situazione buttandomi in progetti che hanno di fatto, amplificato i difetti di una vita che a mio avviso andrebbe riscritta soprattutto nel bilancio del tempo. Il tempo è una risorsa preziosa e tu lo hai detto proprio qui più volte, trovando la mia totale condivisione, a oggi per questa situazione io non ho più tempo per fare nulla di ricreativo, ho poco, troppo poco tempo da dedicare ai miei figli, accumulo stress e tutto per coltivare la speranza di aver creato un paracadute per quando qualcuno aprirà quel portellone e mi darà il fatidico calcio nel sedere, storia già scritta a mio avviso. Non voglio tediare nessuno con la crisi dell’editoria da una parte, del settore nautico dall’altra e quella generale che fa vassoio a questo piatto micidiale per chi, come noi, ha pensato un giorno di avere la fortuna di arrivare a fare il lavoro che più gli si addiceva. Ma qualunque sia l’impegno professionale di ogni giorno l’idea di perdere il lavoro o l’averlo già perso, può innescare reazioni psicologiche devastanti e per questo è bene parlarne e condividere esperienze, sensazioni e tutto quello che si impossessa di chi è interessato da eventi simili. Personalmente ho reagito come ti ho detto e come già sai, a oggi non ho certezze se non l’aver creato una speranza, la quale però, spesso è messa in discussione da una domanda: “sarà sufficiente quello che ho fatto sinora?”. Qui viene un punto fondamentale che tu hai toccato nel tuo ultimo post, ossia, quel sentimento di autocritica che ti pervade quasi a giustificare la situazione come tua colpa parziale. Questo deve necessariamente essere esternato, perchè è una trappola nella quale non dobbiamo cadere, soprattutto se abbiamo sempre svolto il nostro lavoro con serietà. Le aziende non chiudono perchè un lavoratore non fa bene il suo lavoro, in quel caso il singolo perde il lavoro e gli altri continuano a portare avanti le sorti dell’azienda. Le aziende chiudono per tanti macromotivi e talvolta per motivi molto meno “macro” che non sono mai o quasi riconducibili al singolo individuo diverso dal titolare o da uno dei manager fondamentali. Le nostre colpe forse, ma questo si supera, anzi, si deve superare, possono essere quelle collegate con il sentimento di fiducia in chi teneva le redini, in chi dovrebbe avere a cuore le sorti di un’azienda non solo perchè fonte di guadagno quando le cose vanno bene. Purtroppo la serietà in molti casi non è una caratteristica propria di imprenditori nostrani, che per mancanza di cultura, di volontà, di capacità di fare impresa coinvolgendo i lavoratori nel bene e nel male affinchè le sorti dell’azienda siano sentite a tutti i livelli, producendo produttività e creatività utili per superare le difficoltà. La colpa di fatti simili non è mai del singolo, soprattutto quando è capace di reinventare il suo destino professionale per far fronte alle esigenze primarie sue e della famiglia. Come ti ho detto una mattina sono pronto a rifare il cameriere come ho fatto a 16 anni se la situazione me lo richiede, non sento di dover fare il giornalista fino alla fine della mia esperienza lavorativa, potrebbe accadere, ma potrebbe essere necessario fare altro e sono pronto. Certo, capitalizzare l’esperienza maturata sin qui è sicuramente una risorsa utile per noi e potenzialmente preziosa per chi si accinge a fare impresa in questo ambito, ma come ben sai, un giovane di 20 anni al quale fai la promessa che un giorno avrà un tesserino da pubblicista, a prescindere da come scrive e cosa ha in testa, vale più di un giornalista professionista di 45 anni che costerebbe almeno il doppio, perchè questa è la variabile fondamentale in un industria che privilegia il valore del costo alla qualità di ciò che produce. Nessuno di noi deve sentirsi in colpa per aver perso il lavoro in questo sistema industriale, dobbiamo secondo me, cercare di recuperare il più possibile le energie utili per reinventarci, nel nostro caso anche senza computer, macchine fotografiche, telefono zeppo di numeri di uffici stampa, addetti alla comunicazione etc.
Caro Alberto, considero questo tuo post di apertura di questa discussione un atto generoso e meritevole di stima nei tuoi confronti.
Un caro saluto a tutti
Caro Angelo, discutere qui di come andrebbe rivisto e reinsegnato il mondo del lavoro e dell’impresa (indifferentemente a lavoratori e imprenditori) è impossibile. Richiederebbe troppo tempo, spazio e discussioni… Anche io ho sempre detto che nel momento del bisogno sarei tranquillamente andato anche a fare il cameriere da qualche parte (con tutto il dovuto rispetto). E lo confermo qui, anche se devo dirti che spero proprio di non esservi realmente costretto. Innanzitutto perché non è detto che ci riesca, considerato che probabilmente l’offerta ha già di gran lunga superato la richiesta anche lì. Secondo poi perché effettivamente, dopo vent’anni o quasi di professionismo, la cosa mi butterebbe parecchio giù. Insomma, disposto a tutto, ma finché riesco a farne a meno… Ti capisco quando dici di non avere un attimo di tempo per te stesso e per la tua famiglia. Scegliamo una compagna ‘per sempre’, facciamo dei figli ‘per sempre’, e poi ci ritroviamo a stare con loro poche ore al giorno… Però quello che stai facendo è importante. Se un giorno si chiuderà quella porta, il fatto di averne trovata nel frattempo un’altra, ti permetterà di continuare il tuo cammino, magari in un’altra direzione, ma senza sobbarcarti bagagli pesanti come quelli che in parte io ho ancora sulle spalle. Quindi, forza e coraggio! Sei il mio mito!
Eh si.
Io ormai quando sento o leggo di persone che hanno un lavoro dignitoso e si lamentano, non vado avanti a leggere o ascoltare. Non mi interessa ciò che hanno da dire e di certo non sto’ perdendo nulla nel non ascoltarle; anche se loro sono convinte di aver scoperto cose illuminanti sulla vita mentre si lamentano della vita “così priva di signicato di oggi”.
Anzi, spero in futuro di diventare ancora più drastico e di annusarle prima ancora che parlino o scrivano, così non mi fanno perdere tempo. Chi lavora oggi, me per primo anche se sono un precario, dovrebbe iniziare ogni frase con un “Sono fortunato ma sono pure un lamentoso”. Ecco, magari un simile gesto di umiltà sarebbe gradito, renderebbe un po’ più interessanti.
Ciao e in bocca al lupo
Crepi il lupo, anche se io ormai ho fatto i conti con me stesso già da un po’, e la fase tosta, quella della paura e della depressione, l’ho superata. Diciamo che io oggi sono in fase di risalita (almeno spero). Non è facile. Diciamo che la risalita è molto faticosa. Chi sta male e merita il nostro in bocca al lupo è chi il lavoro lo ha appena perso o sta per perderlo. Bellissima l’idea di riuscire ad annusare in anticipo chi si lamenta del proprio lavoro!
Caro Alberto, grazie per la tua risposta e per come hai voluto decidere di concludere, ma prima ancora ti rinnovo i ringraziamenti per aver innescato questo scambio.
L’unico motivo che mi fa accettare da oltre un anno ormai, di uscire di casa alle 8 del mattino per rientrare alle 9 la sera è proprio quello di rendere il terreno dell’atterraggio il più morbido possibile, poi, se la fortuna con C mi dovesse assistere e ci trovo un comodo sofà tanto meglio, ma per come vedo il mondo oggi un’erbetta un po’ alta andrebbe bene. Questo si chiama ricorso alla metafora per evitare di essere duri e crudi, ma nella sostanza so che il senso di quanto voglio esternare lo hai capito benissimo. Caro Alberto, io spero sinceramente che chiunque abbia esperienza o creatività da offrire possa trovare una risposta concreta a prescindere da come si chiama, da quale entourage proviene e da come la pensa politicamente, o meglio, da che tessera ha. Se le cose andassero veramente così so che sarei felice di vederti di nuovo a fare ciò che ami fare…e magari mi rilasserei anche per quanto mi riguarda! Ciao caro, anche tu non mollare mai, sai che ti stimo molto anche per come hai portato avanti le tante battaglie di questa faticosa guerra!