Un blog ai tempi del Coronavirus
by albi69
Più tempo a disposizione, meno distrazioni, simbiosi h24 con il computer, ‘arresti domiciliari’: le condizioni ideali per dedicarsi al proprio blog. Eppure c’è qualcosa di troppo, di pesante, quasi opprimente. Non è semplice scrivere qualcosa in tempi di Coronavirus.
Sono passati più di tre anni dall’ultimo post che ho pubblicato su questo blog. Tre anni durante i quali ho continuato a pagare lo spazio sul web che lo ospita e il dominio che utilizzo. Non vi stupite, sto anche pagando da almeno cinque anni per spazio e dominio di un altro blog che non ho ancora neanche iniziato… per dire…
Durante questi ultimi tre anni sono successe una valanga di cose e la mia vita, che già una decina di anni fa aveva subito un notevole scossone, ha collezionato ancora più cambiamenti, squilibri, velocità e stimoli. Non sempre in positivo, anzi. Ma tutto quello che è successo, da quel momento in poi, è stato rimesso in una più giusta prospettiva da ciò che è accaduto e sta accadendo nell’ultimo mese e mezzo, ovvero da quel 21 febbraio in cui ho appreso, io come molti di coloro che sono nati e cresciuti al disotto della linea del Rubicone, dell’esistenza di una ridente cittadina nel lodigiano di nome Codogno. La notizia mi ha colto quel venerdì sera in una stanza di albergo a Bologna. Avendo in programma il ritorno su un treno che prima di raccattarmi lì sarebbe transitato in zone che sarebbero salite alle cronache in quelle ore (la famigerata stazione di Casalpusterlengo, per esempio), il sabato mi sono messo in cerca di Amuchina e maschere protettive, constatando che a Bologna erano già diventate merce rara, ed era solo il 22 febbraio. Per fortuna una farmacia in centro si è offerta di mettermene da parte due per la mattina di domenica, poco prima che riprendessi il treno per Roma. Non ce ne erano molte di mascherine quel giorno sul treno. La nostra vita stava per cambiare e non lo sapevamo ancora.
Non so se è successo anche a voi (rivolgermi a degli ipotetici lettori è pura autoindulgenza, so benissimo che aspettarmi che ci sia, dopo tutto questo tempo, ancora qualcuno dall’altra parte a leggere i miei post, è alquanto illusorio), ma a me nelle settimane seguenti è successo di perdere il senso del tempo. La mia vita, in realtà, lavorando già prima in modalità ‘home office’, o come si dice ora ‘smart work’, e vivendo lontano dai primi focolai, non è cambiata poi così tanto, almeno finchè il Governo non ha cominciato a varare misure contenitive. Dopo di allora, non uscendo più per andare in palestra o alla scuola di musica, i giorni hanno cominciato a confondersi, sempre più uguali fra loro. È stato forse quello il primo vero segnale di allarme… non avevo più il controllo del mio tempo. Di qui la necessità di crearmi delle routine, degli appuntamenti fissi che rendessero il tutto meno fluido e più concreto. Come è successo a molti, anche il mio lavoro si è contratto, e mi sono ritrovato con più tempo libero a disposizione (e meno soldi, ma questo è un altro discorso). Sulle prime mi sono concentrato sull’aspetto positivo della faccenda. Più tempo libero significava poterne dedicare di più o di nuovo ad attività interessanti e divertenti, come la musica e la scrittura. Faticavo, e tuttora fatico, ad arginare il lavoro che tende comunque ad invadere spazi non suoi. E allo stesso modo ho difficoltà a staccare da un’attività e passare ad un’altra senza lasciarmi ammaliare da mille rivoli di perdite di tempo come navigare sui social, o su Internet, mettere in ordine una stanza o archiviare documenti o foto. Insomma, qui si tratta di dedicare tempo a due delle cose che amo di più, la musica e la scrittura. Eppure, sotto sotto, sembra che tutto improvvisamente diventi più importante o attraente. Mi sono chiesto perché, e la risposta è che c’è qualcosa che mi pesa. Quel qualcosa è la nuova realtà di questi giorni, è l’incertezza dei tempi che ci aspettano, è il clima di tensione e ansia che si respira, è il lutto che ha colpito il nostro Paese e il mondo intero, è la consapevolezza dell’impreparazione (e uso un eufemismo) di tante persone davanti a un evento così serio e devastante. Come si fa ad essere anche minimamente creativi sotto un peso del genere? Me lo sono chiesto e me lo sto chiedendo ancora. La risposta non ce l’ho. Ma un tentativo voglio farlo. Darò retta a quelli che dicono che non fa bene stare troppo spesso ad ascoltare notiziari o a seguire trasmissioni radio o tv che parlano della pandemia. Smetterò di stare a ragionare su quei numeri terribili che vengono dati ogni sera come se fossi un esperto virologo. Dedicherò all’informazione sulla pandemia una piccola parte del mio tempo, non di più. Voglio alleggerire il mio viaggio, ancora una volta.
Non è facile scrivere in tempi di Coronavirus… ma si può fare!