Passo indietro o salto mortale?
by albi69
Questa mattina ho aperto Facebook e ho trovato postata da più di uno dei miei contatti, questa intervista a Serge Latouche, leader del Movimento per la Decrescita. Da qualche mese di questo movimento di parla molto anche da noi, e non sempre in modo appropriato. Io stesso ho postato ogni tanto qualcosa, qui o su Facebook. Inutile dire che le argomentazioni e le critiche del Movimento sono molto meno superficiali di quel che passa sui giornali o in tv, in quei rari casi in cui questi se ne occupano. Coinvolgono in realtà dottrine macroeconomiche, vicende storico-sociali, antropologiche e umane la cui analisi è piuttosto complicata, soprattutto se chi cerca di capirne di più è, come me, a digiuno di determinati argomenti.
È frustrante non riuscire a valutare adeguatamente ragioni pro e contro, soprattutto quando queste sono espresse con grande convinzione da una parte e dall’altra, e a maggior ragione in casi come questo, quando in gioco c’è il futuro nostro e dei nostri figli. Fin da quando ne ho scoperto l’esistenza, il Movimento per la Decrescita mi è sembrato rispecchiare valori positivi. Alcune delle istanze propugnate erano mie ancor prima che le sapessi loro. E per questo li ho seguiti con una certa simpatia. Questa intervista però mi ha preoccupato parecchio. Latouche, del quale ho acquistato da poco (e quindi non ancora letto) il libro Per un’abbondanza frugale, proprio per cercare di capirne di più, parla senza mezzi termini della necessità di andare verso la bancarotta (non solo in Italia come suggerisce il titolo dell’intervista, ma in tutta Europa) per poter poi ricominciare con un’economia più sostenibile. Non facendo mistero che questo possa anche provocare “violenza e dolore”. Propugna il ritorno di massa all’agricoltura e a una sorta di proto-capitalismo precedente alla nascita della grande finanza. Detta così sembra anche una prospettiva affascinante, se non fosse che si intuisce fra le righe anche il ritorno a una povertà diffusissima che seppur ‘mal comune’ a me non suona affatto come ‘mezzo gaudio’. Il fatto che dovremmo abituarci a non muoverci più oltre 30 km dalla nostra casa (solo perché il 99% dell’umanità ha vissuto così in passato), proprio non mi riesce di considerarlo un obiettivo desiderabile. Ma il peggio viene verso la fine dell’intervista, quando Latouche ipotizza che la transizione possa anche avvenire in modo violento e, dopo aver già fatto alcune concessioni ai movimenti di estrema destra europei, che in futuro si possa anche giustificare una forma di governo diversa dalla democrazia, purché il dittatore o il despota abbiano a cuore il bene comune dei cittadini. Beh, per essere un’utopia (a definirla così è lo stesso Latouche) a me sembra piuttosto inquietante e, sinceramente, poco desiderabile. Più che un passo indietro, direi un bel salto mortale.
Dunque siamo messi così? O pesci in un acquario sotto l’occhio attento dei grandi speculatori, o contadini isolati sotto il tallone del grande dittatore? È questa la scelta? Nessuna terza via?
[…] creato intorno alle esperienze di PecoraNera o di Simone Perotti, o al discorso più generale della Decrescita Felice. I due autori del blog, e di alcuni interessanti testi sul tema del minimalismo, sono spesso in […]
Latouche ha un certo amore verso le società tribali africane, non gli dispiacerebbe se gli europei ricalcassero quel modello. Però non chiede mica agli europei o statunitensi o asiatici cosa ne pensano di quel modello.
O agli africani che hanno sperimentato qualcosa di diverso se tornerebbero indietro.
Io, per la verità, dietro la “decrescita” e sinonimi vari vedo solo abili venditori che vogliono finanziare la loro attività “libera” tramite l’interesse di persone che “libere non sono”, mucche da mungere insomma. Chi invece pratica veramente un modo diverso di vivere, sobrio, equilibrato, naturale, e anche povero, e sono tantissimi soprattutto al sud, non lo propaganda in giro, lo vive e basta. Mio padre ad esempio. MA questo ce l’hai nel sangue e nell’educazione di un bambino, la “conversione” di un adulto è sempre qualcosa di forzato, di meno vero, naturale.
Credo che Latouche abbia detto che la “decrescita” è uno slogan, una tendenza. Mi piace pensarla così. Credo cmq che i teorici della decrescita siano completamente spiazzati dalla decrescita stessa del PIL che è davvero arrivata, con il suo carico di disperazione che non è un fatto psicologico, ma reale, esistenziale, inevitabile. E’ arrivata, e adesso? Come facciamo a non farcene sommergere. Facciamoci sommergere, ti dicono. Il fatto è che sott’acqua non si respira, si soffre e si muore, e a quel punto non bastano le chiacchiere a tenere in vita, quando tocchi con mano cos’è la “decrescita”, quella vera, non chic, non snob, quella che non ti aspetti.
Ciao.
Io non credo che siano completamente spiazzati. Anzi, credo che le difficoltà sempre più diffuse portino acqua al loro mulino. Sicuramente saranno preoccupati, come quello che vuole a tutti i costi la bicicletta e che poi quando gli tocca pedalare si accorge di quanta fatica costa. Hai ottenuto più attenzione sul Movimento, bene, però ora mi devi dare delle risposte più circostanziate, devi descrivermi bene cosa succederebbe se, cosa farai quando e come si risolverebbe questo. Ti devi sbilanciare un po’ di più, a costo di fare la figura di quello che… beh, non saranno tutte rose e fiori e prima di star meglio (?) dovremo star peggio. E a quel punto dovrai accolarti il rischio di un bel pernacchione. Hai ragione quando dici che l’unica decrescita possibile è quella personale, è nella scelta di vivere diversamente, nella libertà di dire no a convenzioni e imposizioni, e di dire sì a uno stile di vita più equilibrato, fosse anche più povero. È l’individualismo che ci portati a questo punto, toccherà all’individualismo tirarci fuori da qui. Sono state le scelte personali di molti a ridurci così, chi sarà in grado di farne di diverse, forse, potrà sentirsi meglio. Ciao
P.S.: mi piace il tuo blog!
Grazie.
Beh, ma un venditore opera sui sogni e sulla chiacchiera, se dovessero essere seri e spiegare tutto per filo e per segno addio poesia, si entra nel campo del concreto e reale, mentre loro lavorano sui sogni, le speranze, i desideri. A quel punto dovrebbero cercarsi un lavoro vero e ciò che fanno farlo per pura passione ma così non si guadagna, neanche un po’ di notorietà, e in fondo sono più ego-isti che decre-scisti. Quelli che la decrescita la fanno davvero, il vicino di casa magari, non gli viene in mente di pubblicizzare il suo orto sotto casa 🙂
Mmmmh, beh io non sono così cinico. L’utopia della decrescita in se stessa non è male. È un esercizio teorico affascinante. E non credo che sotto sotto chi l’ha partorita avesse almeno inizialmente propositi ‘commerciali’. Sì, d’accordo, Latouche vende i suoi libri e probabilmente guadagna anche in altro modo (notorietà ecc.), e poi ci sarà – o magari già c’è – chi sale a bordo per lavorare o fare carriera con la decrescita. Ma che qualcuno cerchi di ‘vendere’ la decrescita mi preoccupa meno degli effetti sociali che può avere un’applicazione più o meno forzata di quella che il suo stesso ideologo ha definito, appunto, un’utopia.
Ma Latouche ha alle spalle anche un background di economista e viaggiatore, si può essere d’accordo o meno, ma quello che dice ha un fondamento. In tutto il mondo occidentale però, sono saliti sul carro dei venditori di tappeti che riescono a piazzare la merce, il problema non è, per me, un’ideologia distruttiva, non credo che possa fare più danni di quanto già accade o di altre ideologie distruttive, semmai il fatto che è una “disintegrazione ideologica”, un “nichilismo” tardo che porta a credere in un utopia neanche strutturata, nel nulla insomma. Purtroppo in questa vita devi credere in qualcosa per costruire qualcosa, un società che diventa lassista non è solo lassista, è superata in breve tempo, degradata, abbandonato. Ecco, se proprio devo credere in qualcosa, voglio che sia qualcosa di solido, eterno, ben strutturato.
…a trovarlo! 😉