Perdere il lavoro 5: I soldi
by albi69
Ho scritto e riscritto varie volte questo post, cercando di seguire un filo logico che però si ingarbugliava sempre. La verità è che quello dei soldi è uno degli argomenti più complicati da trattare in questo racconto della mia esperienza di perdita del lavoro e disoccupazione. Essenzialmente per due motivi. Primo: i soldi sono un po’ il nodo principale della questione. Tutti noi lavoriamo per i soldi e per quello che possiamo fare con quei soldi. A nessuno dispiace perdere il lavoro perché si diverte a lavorare. Perdere il lavoro significa essenzialmente perdere soldi. Secondo: il mio atteggiamento verso i soldi è cambiato molto negli ultimi anni, e le riflessioni che seguono sono figlie della mia personale e recente esperienza, e pertanto potrebbero tranquillamente non essere condivisibili. Mi preme pertanto ripetere ancora una volta che io non ho assolutamente pretese di insegnare niente a nessuno, ne di convincere nessuno che le cose stanno come dico io. Voglio solo raccontare la mia esperienza. Quello che ho imparato. Quali sono gli accorgimenti che ho adottato. Che non è assolutamente detto che vadano bene per tutti, così come non è detto che siano sufficienti per me nei prossimi anni.
I tre cardini verso i quali mi sono mosso sono i seguenti:
1) Eliminazione delle spese superflue
2) Risparmio sulle spese necessarie
3) Sfruttamento sistematico dell’elemento ‘tempo’
È inutile girarci troppo intorno. Siamo cresciuti in una società dove in barba alla banalità di adagi come “anche i ricchi piangono” o “la ricchezza non fa la felicità”, ci hanno comunque ipocritamente insegnato a perseguire il benessere economico anche a costo di dedicare al guadagno tutto il nostro tempo migliore, anche a costo di trascurare affetti e salute. Ci hanno spinti, non solo a perseguire il successo economico, ma anche a mostrarlo a tutti, ad ostentarlo addirittura, quasi che l’ostentazione fosse essa stessa il fine del nostro impegno professionale. E allora giù tutti a lavorare, qualcuno addirittura a rubare, pur di comprarsi la macchina nuova, la casa di proprietà, la casa al mare, la vacanza alle Maldive. E giù a sottoscrivere mutui, rate, debiti. E a lavorare ancora di più per pagare quello che intanto abbiamo comprato, per onorare le rate, per finire di pagare il telefonino o il SUV. Ovvio poi, che quando ci viene a mancare la fonte di guadagno (il lavoro), ci crolli il mondo addosso. Abbiamo scambiato la nostra vita per un centro commerciale, il nostro tempo per un lungo pomeriggio di shopping.
Il lavoro che ho svolto fino alla fine del 2008, oltre che buone soddisfazioni personali, mi ha sempre dato anche soddisfazione dal punto di vista economico. Anche nei periodi in cui mia moglie non ha lavorato (per 3-4 anni circa dopo la nascita di mio figlio), ci ha consentito di vivere senza patemi. Non che facessimo spese trascendentali, ma potevamo permetterci belle vacanze estive, la settimana bianca, ristoranti/pizzerie anche un paio di volte a settimana, alcuni (diversi) capricci in fatto di abbigliamento. E soprattutto ci ha permesso di acquistare gran parte della casa dove viviamo (che non abbiamo ancora finito di pagare). Certo, quel periodo passato con un solo stipendio e un neonato in casa, qualche effetto lo ha avuto, e ha prosciugato quei pochi risparmi che avevamo. Per questo, quando il bambino è cresciuto, la mamma ha deciso di tornare a lavorare. Avendo però scelto di intraprendere una nuova attività, da libera professionista, che ha richiesto una fase di studio preliminare e un bel po’ di gavetta, i frutti economici del suo lavoro si sono visti solo a 2008 inoltrato, alla vigilia della mia disoccupazione. In pratica due stipendi in casa mia, negli ultimi dieci anni non ci sono mai stati. Ma fin quando c’è stato il mio lavoro, l’illusione di un’entrata sicura non è mai mancata. Dal 2000 in poi, tutto quello che è entrato, è subito uscito, e come detto, in certi periodi abbiamo vissuto al di sopra delle nostre reali possibilità. Quando, improvvisamente è venuto a mancare il mio stipendio, mi è sembrato di morire. Come ho raccontato qui, è calata su di me una specie di nube nera che mi ha fatto precipitare nell’incertezza più assoluta, nel terrore del futuro, nell’incubo dell’indigenza (creando qualche problema anche sul rapporto fra me e mia moglie). Oggi io ho un nuovo lavoro (se vogliamo precario o incerto come solo la libera professione sa essere), mentre il suo sta vivendo una fase di profonda crisi. Insomma, non abbiamo mai un attimo di pace. Intervenire in maniera piuttosto drastica sui nostri consumi era assolutamente necessario, e probabilmente lo saranno anche ulteriori futuri aggiustamenti.
Tutto quello che ho fatto (e sto tuttora facendo) per ridurre le spese, è stato iniziato con colpevole ritardo. Questo è un cruccio che mi porto dietro. Ci ho messo un bel po’ ad arrendermi all’evidenza che le cose erano cambiate. Ero talmente legato al mio stile di vita (di cui ovviamente un tempo mi lamentavo, volendo sempre di più), da illudermi che tutto sarebbe tornato a posto in breve tempo, che avrei trovato presto un nuovo lavoro remunerativo come quello vecchio, e che quindi non era poi così necessario cambiare abitudini. In questo modo ho esaurito molto rapidamente anche il mio TFR, nonché il sussidio di disoccupazione. Ecco perché quando parlo con altre persone, cerco sempre di invitarle a non perdere tempo, e ad adottare qualche correttivo nel loro stile di vita, anche se un lavoro ancora ce l’hanno.
La verità è che si può vivere con meno. Eliminando gli acquisti superflui, e risparmiando su quelli necessari. Certo qui il discorso diventa molto soggettivo, e tutto legato al significato che ognuno di noi può dare a quei due aggettivi, superfluo e necessario. Ma, generalizzando, si può sicuramente vivere con meno soldi. Questo l’abbiamo sempre sospettato, perché abbiamo conosciuto spesso persone, famiglie, che vivevano con meno soldi di noi. La sorpresa è che non è detto che vivere con meno soldi significhi per forza vivere peggio. Io oggi vivo con meno soldi di prima, con prospettive a raggio minore e in una situazione di maggiore precarietà. Ma sono questi ultimi due aspetti a crearmi i maggiori problemi. Per quanto riguarda i soldi, non vivo tanto peggio di prima. Considerato che ieri spendevo più di quanto mi entrava e oggi no, posso in teoria guardare al futuro con un po’ di ottimismo. Quando scrivo che vivo meglio di prima, lo faccio chiaramente con un certo gusto per il paradosso. Il forte taglio che ho dato alle spese che ho considerato superflue, ha significato non uscire quasi più la sera, andare raramente a mangiar fuori, ridurre al lumicino i weekend fuori città, eliminare quasi del tutto il cinema, ridurre praticamente a zero le spese per l’abbigliamento. Tutto questo, secondo il senso comune, non costituisce certo un miglioramento della qualità della vita! Andare a cena fuori prima era un’abitudine, almeno una o due volte a settimana. Raramente, almeno prima che nascesse mio figlio, saltavo il cinema per due settimane di seguito. Meno spesso si andava via il fine settimana, ma quando se ne offriva l’occasione, non si stava a guardare poi tanto a quanto si spendeva. Sulle cifre che ho speso in passato per l’abbigliamento, preferisco sorvolare. Ma ne ho scritto qua e là nel blog. Oggi forse vado a mangiar fuori una volta al mese (e neanche tutti i mesi). Rispetto a prima, però, che ci andavo così spesso che non facevo tanto più caso alla qualità del cibo, del posto e della compagnia, ora seleziono molto di più, sono molto più attento alle mie scelte, e immancabilmente mi diverto, mangio bene, torno a casa soddisfatto. Lo stesso dicasi per i film al cinema: ne vedo pochi, quindi seleziono con più attenzione, mi informo di più e così mi garantisco un livello qualitativo medio più alto di prima. Allo stesso modo seleziono con cura le destinazioni dei miei weekend-vacanze. Qui chiaramente la variante economica è strategica. Non c’è un posto sulla terra dove si sta meglio in campeggio che in un resort a cinque stelle. Ma una volta stabilito un budget, riesco comunque a ottenere ottimi risultati. Il fatto di andare via meno spesso, mi spinge a scegliere, preparare, organizzare il tutto con maggior cura, e questo aspetto mi permette di godermela molto di più. Insomma: diminuisce la quantità, ma migliora la qualità. In questo senso, dire che vivo meglio di prima suona un po’ meno paradossale. Dimenticavo di aggiungere che ho eliminato completamente un’altra serie di spese ‘abituali’ per oggetti che prima mi sembravano assolutamente irrinunciabili e che oggi mi fanno solo rimpiangere i soldi spesi in passato. DVD, CD, vhs, riviste, giornali di qualsiasi tipo e periodicità, e ancora gadget elettronici non legati a necessità professionali, per non parlare degli accessori per il mare-montagna-moto-sci-golf-sub-oqualsiasisportmivenisseinmentedipraticare!
Questo per quanto riguarda le spese che, per me, sono superflue. Poi ci sono le spese necessarie, o che comunque io ritengo ancora necessarie. Il cibo, le utenze di casa, i trasporti, le assicurazioni e il mutuo di casa, un minimo di abbigliamento. Per quanto necessarie, su queste spese si può comunque lavorare per risparmiare. O almeno io l’ho fatto, riuscendoci. Anche qui ho rimpianto i soldi spesi inutilmente in passato, quando per mancanza di tempo, o più probabilmente per pigrizia, non mi sono mai messo ad analizzare le cose come invece ho fatto ora. Certo, il fattore tempo è importante, perché ce ne vuole un bel po’ per star dietro a tutto, per informarsi adeguatamente e poi agire. Ma da disoccupato il tempo non mi mancava di certo. Per quanto riguarda le utenze domestiche, per esempio, i fronti aperti sono due, quello del mercato libero, e quindi della scelta del fornitore più conveniente, e quello dell’educazione ai consumi, e quindi della riduzione degli sprechi. C’è veramente tanto da sapere, e su Internet si trova tutto. Certo la richiesta di preventivi, il confronto, l’interazione con i fornitori non è proprio una roba semplice e veloce. Ma si può fare. Lo stesso lavoro l’ho fatto sulle polizze relative ad auto e moto. Poi ho investito un po’ di tempo anche sulla spesa, sul mangiare. Mi sono messo ad indagare per bene sui prezzi di mercati e supermercati presenti nella mia zona, scoprendo che ritagliandosi il tempo necessario a comprare le cose in diversi punti vendita invece che in uno solo, alla fine si risparmia sensibilmente. Magari pochi euro a settimana. Che però alla fine… Il tutto senza peggiorare, anzi addirittura migliorando, la qualità del cibo. Per quanto riguarda i trasporti, sto vivendo una situazione di precario equilibrio, ma soprattutto di ingiustificato lusso. Mia moglie ha una sua auto, una city car piccolina, ma comoda per il lavoro che fa. Io ho una station wagon che ho acquistato usata poco dopo la nascita di mio figlio. Ma che praticamente non uso, se non nei fine settimana. Troppo poco per giustificare un’assicurazione, un bollo, e una manutenzione che comunque periodicamente va effettuata. La macchina non la uso perché normalmente viaggio con il mio vecchio (quasi dieci anni!) scooter, anche lui con la sua bella assicurazione, il suo bollo e, soprattutto la sua manutenzione. Insomma, in due abbiamo due auto e uno scooter, vecchi ma costosi. È assurdo, me ne rendo conto. Colpa mia che non riesco a decidere cosa abbandonare per prima, la moto o l’auto. Ultimamente mi muovo spesso in bici (quando il tempo è bello) o con i mezzi pubblici (quando è brutto), e questo mi permette di risparmiare sul carburante. Probabilmente lo scooter sta diventando di troppo (ma è così comodo a Roma!). Il taglio di uno dei due sarà comunque il prossimo passo che farò. Con il residuo del mutuo sull’abitazione non sono riuscito a fare nulla: ho provato a rinegoziarlo l’anno scorso, ma non avendolo contratto direttamente con una banca, bensì tramite un ente previdenziale, non ci sono riuscito. Ultima nota sull’abbigliamento: oltre ad aver drasticamente ridotto gli acquisti, mi limito a far compere in periodi di saldi, oppure quando trovo ottime offerte sugli outlet su Internet. Quando poi trovo i saldi fatti dagli outlet su Internet, festeggio! Ho imparato anche a tener maggior conto della qualità ‘tecnica’ dei capi d’abbigliamento, perché devono durare nel tempo. Preferisco spendere qualcosa di più per un paio di scarpe che mi dura tre anni, piuttosto che comprarne due o tre che ne durano uno. Banale, ma funzionale.
Non potendo guadagnare di più, ho imparato a spendere meno. E se domani tornassi a guadagnare di più, ad avere un bel posto fisso e uno stipendio sicuro, spero di non dimenticare quello che sto imparando.
Hai pensato alla bici pieghevole? Non pensare alla vecchia Graziella eh! Ora sono oggetti fantastici con marce e piccolini da trasportare in bus e metro.tu consigli sempre tanti link eccotene uno utile utile. Prova a dare un’occhiata A bicipieghevoli.net. Noi siamo in 5 e abbiamo solo un’auto ( berlina skoda ) , io vado in giro in bici e alla sera mio marito passa a prendermi, carichiamo la bici in baule e risparmiamo un botto. Un’ auto solo di assicurazione (700), bollo(180),un’anno le ruote uno la revisione e un’altro il cambio olio (300) costa 1200 euro sll’anno, più benzina, multe, telepas, guasti vari …si arriva anche a 6000/7000 euro l’anno, che vogliono dire 500 euro al mese! Mezzo stipendio!
Ciao e grazie del consiglio. Sì, le bici pieghevoli le conosco e mi piacciono un casino. Una bici già ce l’ho, e quindi non ne ho mai preso in considerazione l’acquisto. Certo, se un giorno dovessi fare a meno dello scooter o dell’auto (o di entrambi), risparmiando un sacco di soldi, magari un pensiero ce lo faccio.
Io ho l’esperienza opposta perché la mia famiglia è sempre stata al verde e io sono sempre stato al verde, non ho mai visto le cose di cui scrivi per svago personale, ma ne ho goduto per motivi di lavoro e… mi hanno sempre annoiato. Sembra strano ma data la mia educazione spartana, l’esempio spartano, quando c’era da spendere non ne ho mai tratto alcun piacere supplementare.
Devo purtroppo dire che non è tutto positivo perché viviamo in una società in cui spendere significa apparire e apparire vuol dire anche investire sulla propria immagine. Ora, se non investi sulla tua immagine professionalmente non cresci, o meglio, non crescono i tuoi guadagni. Gli uccelli si riconoscono dal piumaggio e si vuole qualcuno simile a sé da aver vicino, piuttosto che uno che sembra un vagabondo spaesato. Questo mi ha limitato molto, ma tanto a fare il gioco degli altri mi annoio, quindi ho dovuto porre un limite alle mie aspettative, per vivere il tipo di vita che mi piace. Non si può avere tutto. Però è vero che è spesso frustrante se uno ci pensa, quindi faccio di tutto per non pensare a come funziona un mondo in cui l’immagine prevale sulla sostanza delle cose.
Cmq, c’è una regola in economia e purtroppo è vera sempre, anche per me che potrei trascorrere la vita tra le mura di un monastero: non si vive di tagli. O c’è una crescita economica (personale, nazionale), un flusso di cassa in entrata nel lungo periodo, o piano piano si muore. Piano piano. Se si è fortunati si muore prima di veder minacciata la propria sussistenza, per motivi anagrafici. Altrimenti sono guai. Ciao.
Io questa necessità della crescita comincio a credere sia una balla raccontata a uso e consumo dei soliti noti. Non sono un fan della decrescita, ma credo che questa corsa spasmodica alla crescita, fatta per altro attraverso la produzione di un’enorme quantità di beni superflui, non abbia senso. E temo che prima o poi ci presenti un conto salato da pagare. Per questo penso anche che, a livello individuale, la crescita sia pilotata solo fino a un certo punto da reali esigenze. E che dopo quel punto sia solo una corsa al ‘confronto con gli altri’, allo sfoggio del superfluo, al consumismo becero. Il sistema funziona così, ma non è detto che col tempo non si possa cambiare. C’è stato un tempo in cui volevo diventare ricco, e credevo di poterlo diventare. Oggi, che sono ancora meno ricco di ieri, mi sento invece meglio perché ho ridotto le mie aspettative, e rivisto i miei obiettivi. Se funziona individualmente, potrebbe funzionare anche socialmente.
“Se funziona individualmente, potrebbe funzionare anche socialmente.”
E’ qui l’equivoco della decrescita. Si pensa ad essa come meno beni. In realtà la crescita non serve a finanziare più beni. Serve a finanziare sanità, pensioni, scuola, università. Io lavoro nel settore della sanità (per adesso!). La crescita di spesa è continua perché le persone chiedono di essere curate. Una volta morivano e si rassegnavano, non c’erano mezzi né farmaci. Oggi ci sono trapianti, farmaci, nuove malattie del benessere, del vizio, del degrado, dell’età anagrafica avanzata e queste persone chiedono cure e le cure chiedono sempre più soldi, di più, di più…
Se le persone accettassero davvero la decrescita e fossero disposte a dire: bene, in caso di tale o tale malattia, non curatemi, la spesa subito rientrerebbe e non c’è più bisogno di crescere. Oppure: “a novant’anni sospendetemi pure la pensione perché ho assorbito troppe risorse” allora la decresita o il fermo-crescita potrebbe attuarsi. Lo stesso dicasi per la scuola, i trasporti pubblici, le forze dell’ordine, etc… Viviamo in una società sempre più esigente che vuole anche essere pagata i giorni in cui sta a casa e si ammala o quando entra in gravidanza. Fa parte del welfare, ma è un costo che può essere sostenuto solo con una crescita continua. Certo, se si rinunciasse alle prestazioni sociali, voglio una cosa e me la pago, ho un figlio e non chiedo niente a nessuno, mi ammalo e non voglio essere curato gratis, si potrebbe pensare un mondo diverso, magari medioevale, senza offesa, ovvero un mondo abbastanza statico in cui la corsa al surplus per finanziare le nuove esigenze non c’è.
L’equivoco “Crescita = cose inutili” è uno dei motivi del mio completo disinteresse per i temi della decrescita, l’analisi diventa assolutamente superficiale. Si vogliono le prestazioni di uno stato moderno, ma quali risorse impiegare? E’ questo il nodo.
A livello personale comunque, se con c’è una crescita, anche spirituale, si finisce all’inferno. Inteso nel senso di un vuoto mortale, alienante. Perfino le sacre scritture nella parabola dei talenti parlano della necessità di crescere, nel modo più consono alla persona. Il corpo umano muore quando le cellule smettono di riprodursi nel modo corretto, finché il corpo “cresce” (si riproducono le cellule) in maniera corretta non si invecchia.
E’ vero che molti non credono più alla crescita, ma gli stessi non dicono a cosa sono disposti a rinunciare, parlando della spesa pubblica che li mantiene. E la voce numero uno e due credo siano la sanità e le pensioni. come dice il proverbio texano:
“Tutto vogliono andare in paradiso ma nessuno vuole morire”
Ciao!!!
Non lo so. Non pretendo di avere la risposta giusta, sia chiaro. Ma credo che se la società fosse più giusta, più equa, i soldi per la sanità e per il resto si troverebbero comunque. Se davvero la crescita serve a questo, senza tutti gli sprechi e le distorsioni di oggi, sicuramente non ci sarebbe bisogno di una crescita a questa velocità. Si può anche fare a meno di vivere fino a 90 anni. Non credo che l’uomo sia stato creato per vivere così a lungo. Ma soprattutto mi sembra folle vivere male in tanti per far campare pochi fino a 90 anni. E mi limito al discorso Italia. Perché se solo osiamo pensare a livello planetario, la realtà si fa davvero terrificante.
Beh…
mia nonna è campata fino a 101 anni e 8 mesi senza problemi e autosufficiente. altri due hanno superato i 90. Cmq, mi fermo qui.
Se l’uomo fosse giusto, se fosse equo, se non fosse una bestia invidiosa, assetata a tutti i livelli… non si parlerebbe di decrescita o crescita, progresso o regresso, ciò che abbiamo è più che sufficiente per tutti, per l’umanità intera. Ma non ci sarebbe neppure bisogno di leggi, politica, magistratura, eserciti, forze di polizia, niente, se l’uomo (e quindi la società) fosse giusto. Nell’attesa viviamo in un mondo di bestie ed è un problema trovare un equilibrio di convivenza.
Cmq il tuo discorso sul sacrificio degli ultranovantenni non è nuovo, in fondo l’80% del pianeta è letteralmente sacrificato e lasciato morire, derubato, per permettere al rimanente 20%, di cui facciamo parte, di gozzovigliare. Se ci lamentiamo adesso che abbiamo un po’ di crisi, figurarsi se dovessimo vivere in molti posti del mondo in cui a stento riesci a garantire ad un bambino una ciotola di riso al giorno (non scherzo è la testimonianza di un missionario).
È per questo che quando sento parlare di crescita mi viene l’orticaria…
Alberto, come direbbe la più brava delle stiratrici…non fa una piega!
Grazie Angelo!