Volevo diventare ricco
by albi69
Io volevo diventare ricco. O meglio, io credevo di poter diventare ricco. Ero piuttosto convinto di di poterlo diventare. La mia famiglia non era ricca. Non era nemmeno lontanamente benestante, a dir la verità. Ma io ero convinto di essere meglio di loro, di vivere tempi migliori dei loro, di avere maggiori opportunità. E in definitiva, sarei diventato ricco.
I miei genitori erano semplici impiegati. Per di più erano separati da quando io avevo sette anni. Non che questo di per sé fosse un ostacolo per le mie convinzioni, ma di certo non era di aiuto a creare una situazione economica tale da poter costituire una ‘base di lancio’ favorevole alle mie aspettative. Eppure ero convinto che ce l’avrei fatta ad andare oltre i risultati che avevano raggiunto loro. Sarei diventato ricco. Non nel senso che un giorno avrei acceso un sigaro con un biglietto da 50 euro (o da 100.000 lire, considerando l’epoca). Ma sufficientemente ricco da poter vivere agiatamente. I segnali mi sembravano inequivocabili. A scuola ero bravo. Studiare non mi pesava. Non ero un secchione, ma mi veniva tutto piuttosto facile. I risultati erano ottimi. I miei amici più stretti (uno in particolare) mi ripeteva spesso che si vedeva proprio che sarei diventato una persona di successo (!). Anche alcuni dei miei professori si sbilanciavano prevedendo per me un brillante futuro. Per questo mi sembrò del tutto normale impegnarmi professionalmente già a 18 anni, iniziare a lavorare (e comunque iscrivermi all’università) otto ore al giorno, dodici mesi all’anno, mentre i miei amici tentennavano indecisi su quale strada far prendere alle proprie vite. E quando fu chiaro che non avrei potuto portare avanti entrambi gli impegni, mi venne naturale scegliere di mollare l’università. D’altra parte ero una persona speciale, un predestinato. Questo non significa, ci tengo a dirlo, che vivessi all’insegna dell’avidità. E neanche della tirchieria… purtroppo. Anzi, spendevo e spandevo… ma tanto inevitabilmente i soldi non sarebbero mai stati un problema per me. Avevo già un lavoro, un bel lavoro, e soprattutto uno stipendio, che ai miei occhi era la conferma che ce l’avrei fatta, sarei diventato ricco. A 22 anni vivevo da solo, a Milano, con un praticantato giornalistico offertomi grazie a un concatenarsi incredibile di coincidenze. A 24 anni ero un giornalista professionista. Nessuna meraviglia, da parte mia. Era tutto normale. Tutto intorno a me sembrava sottolineare come puntare a fare carriera, a guadagnare sempre di più, a spendere sempre di più, fosse la normalità. I miei amici storici, intanto, galleggiavano all’università, vivevano ancora nelle loro camerette a casa dei genitori e collezionavano lavoretti per sbarcare i sabato sera e qualche viaggetto estivo a base di interrail e campeggi. Non vorrei essere frainteso. Non mi sentivo superiore a nessuno. Semplicemente mi reputavo fortunato (e sufficientemente in gamba) da aver riconosciuto fra le occasioni che mi si presentavano, il percorso giusto per raggiungere quel futuro che una buona stella aveva deciso per me. Ci sarebbero arrivati anche i miei amici, prima o poi. Perché fare carriera, avere soldi da spendere, bei vestiti e belle macchine era la normalità. E le conferme si susseguivano: orami stufo della situazione lavorativa in cui mi trovavo a Milano, mi si aprì una nuova opportunità professionale a Roma, proprio pochi mesi prima che che il giornale per cui lavoravo a Milano chiudesse i battenti. E l’obiettivo di sempre sembrava ancora più vicino. Mettere su famiglia fu una naturale conseguenza, una nuova tappa di un percorso luminoso. L’idea che sarei diventato un professionista destinato a una vita tranquilla e soddisfacente non mi mollò neanche quando cominciarono le prime difficoltà, sei anni fa.
Adesso non so dire quale sia stato il momento esatto in cui invece ho capito che, senza ombra di dubbio, io ricco non sarei mai diventato. Non so dire quando è successo, ma è successo. Io oggi so perfettamente che non diventerò ricco. E il bello è che non me ne importa proprio nulla. Zero. Se penso che per tanti anni era stato, non solo il mio chiodo fisso, ma anche una ‘inevitabile certezza’, mi viene quasi da ridere. Probabilmente succede a tutti. A un certo punto ci si accorge che la propria vita ha preso una certa strada che ci ha portati lontano da dove pensavamo, eravamo convinti o sognavamo di arrivare. O più probabilmente, invece, non succede a tutti. C’è sicuramente chi ha ottenuto il 100% di quello che si aspettava… Ma non è questo che mi interessa. Quello che mi interessa è che, per me, non essere diventato quello che mi aspettavo, non è un grosso problema. Ci ho pensato sopra un bel po’, e credo di aver capito che non mi pesa perché quella che all’epoca mi sembrava una condizione ideale, e quindi desiderabile, oggi semplicemente ha perso valore ai miei occhi. Sia chiaro, non essendo completamente impazzito (per il momento), riesco ancora a capire che se avessi un lavoro più remunerativo, un gruzzolo di risparmi da parte, insomma se fossi più ricco, potrei farmi quel viaggio che tanto desidero, o cambiare casa, o togliermi qualche sfizio in più. Ma questo non è sufficiente a farmi sentire ‘triste’ per non essere diventato ricco. Semplicemente perché diventare ricco non è più il mio obiettivo, il mio ‘scopo di una vita’. Certo, qui nasce un problema. Perché alla fin fine un obiettivo bisogna pur averlo, no?
Alla nostra generazione è stato insegnato a perseguire il successo individuale, come scopo finale, come stile di vita. Una bella casa, una bella moglie, un lavoro remunerativo (poco importa se soddisfacente o meno), figli primi della classe, vacanze in posto da favola, una bella macchina ecc. Sono concetti che si sono propagati ovunque, in tv, al cinema, nel nostro gruppo sociale. Il problema è che se, e quando, arriva un momento in cui non ci credi più (come è successo a me), diventa difficile trovare un nuovo scopo significativo, un obiettivo chiaramente identificabile. Ecco, ora io mi trovo esattamente in questa situazione: ho puntato tutto su un cavallo, sono arrivato a due terzi della corsa e mi sono accorto che quel cavallo non mi piace più. Non è più lui il cavallo con il quale voglio correre e possibilmente vincere. Mi guardo intorno, e non ho la più pallida idea di quale sia il cavallo su cui puntare ora. Non è proprio una situazione ideale. La corsa non volge proprio al termine, ma buona parte del percorso è bello che andato. In più mi accorgo che essermi dedicato anima e corpo all’obiettivo sbagliato, mi ha fatto trascurare tante cose che invece oggi mi avrebbe fatto piacere aver coltivato a dovere. Avrei potuto viaggiare molto di più, per esempio. Avrei potuto farlo in modi diversi che a 20 o 30 anni pesano meno che a 45 anni. Avrei potuto studiare di più, leggere più libri di quanti ne ho letti (sarebbe bastato guardare meno tv). E leggere libri diversi da quelli che ho letto. Avrei magari potuto scriverne uno, di libro. Quando ero giovane, meno cinico e più entusiasta. L’elenco di cose che avrei potuto fare rischia di essere sterminato e noioso. E comunque… fuori argomento. Quello che importa veramente è altro: cosa fare adesso che l’obiettivo non è più diventare ricchi?
E voi volete ancora diventare ricchi? Se avete smesso di voler diventare ricchi, quando è successo?
Cosa volete ora dalla vostra vita?
anche io appartengo a quella cerchia di amici che pensava che ce l’avresti fatta, e devo dire anche con una certa invidia (positiva, ovviamente!). La vita porta a delle scelte importanti, a volte forzate, che cambiano nel tempo gli obiettivi che uno si era prefissato, ma importante è non perdere di vista il proprio modo di essere e la forza interiore che ti porta ad affrontare con coraggio le nuove vie da percorrere. E più leggo i tuoi post e più mi rendo conto che questo a te non è mancato, anzi! in altri termini, forse non pensavo che saresti diventato ricco ma che sicuramente ce l’avresti fatta, e questo post credo ne sia la prova. ciao
Grazie Fulvio. Molto gentile. In realtà penso di essere ancora in mare aperto. E non so ancora dove dirigere la prua. Ho solo qualche mezza idea su cui lavorare. Ma ho una consapevolezza nuova: so che la parte bella del viaggio è… il viaggio, non la meta. E questo lo considero comunque un risultato importante.
Condivido tutto quanto è stato detto. L’essere umano è in continua evoluzione e subisce i condizionamenti sociali, economici dell’ambiente in cui vive e che mutano di continuo nel tempo. Qualsiasi esperienza (lavorativa, sentimentale, etc.) sembra oggi avere un termine (breve o lungo che sia) e questo genera quello stato di incertezza e di ansia nelle persone che faticano ad individuare la bussola dell’esistenza.
Ottimo post. Ciao!
Grazie Alessandro. Quello che dici è vero. Il problema è che ci sono stati dati degli strumenti di navigazione errati, ed ora ci troviamo in mezzo al mare e dobbiamo improvvisarci marinai. Raggiungeremo mai una terra dove poter vivere con consapevolezza e serenità?
oggi è andati in pensione un distinto Signore che ha lavorato per ben 39 anni nella stessa azienda. commosso, ha fatto un discorso in cui ha detto che sin dall’inizio gli sono stati dati tutti gli strumenti di navigazione giusti ed adeguati. non ha detto proprio così ma il senso era esattamente questo, così mi riallaccio alla tua risposta. non credo che alle generazioni “passate” siano stati dati strumenti inadeguati, credo che siano soltanto obsoleti rispetto alla situazione di oggi. la Persona infatti era felicissima della formazione ricevuta che è riuscita a capitalizzare anche fuori dell’ambiente aziendale, e che conta anche di continuare a far fruttare nel futuro. Credo altresì che non tutti nelle generazioni passate abbiano colto insegnamenti antichissimi, millenari, di saggezza, come per esempio i sette anni di vacche grasse e poi di vacche magre. chi l’ha fatto, e ne conosco parecchi, si ritrovano oggi in una situazione agiatissima partendo proprio dai lavori più “sporchi” della scala sociale. conosco altri che hanno subito una discesa paurosa, e non credo che sia finita perché manca una preparazione culturale alla gestione delle crisi e un’attitudine anche repentina al cambiamento. Cambiare o morire.
Detto questo ci vuole pure molta fortuna, il periodo degli anni ’70 in cui il signore ha iniziato a lavorare era denso di opportunità.
Esatto, dicevo proprio questo. Gli ottimi strumenti della generazione precedente si rivelano inadeguati per la generazione successiva e per la situazione ambientale in cui si trova. Il che mi fa anche pensare che gli strumenti affinati dalla mia esperienza diretta potrebbero rivelarsi inadeguati per la prossima generazione. E questo riapre il discorso su uno dei miei pallini… cosa è giusto insegnare oggi a mio figlio?
“In ogni secolo gli esseri umani hanno pensato di aver capito definitivamente l’Universo. In ogni secolo si è capito che avevano sbagliato. L’unica cosa certe che posso dire sulle nostre attuali conoscenze, quindi, è che sono sbagliate.”
Isaac Asimov
Ieri probabilmente eri in sintonia con il tempo di ieri. E oggi lo si deve essere col tempo (mutato) di oggi. forse non è importante cosa si vuol fare ma quanto si riesce a stare in armonia con l’ambiente in cui è dato vivere. Ciao.
Ciao! È una riflessione che ho fatto anche io. Si cambia in relazione ai cambiamenti delle condizioni ambientali. È pura sopravvivenza, giusto? Ma è questo il nostro destino? Sopravvivere finché cuore, cervello e polmoni fanno il loro dovere?
se si è felici sopravvivere è un piacere; se non lo si è anche vivere è una tortura. in ogni caso non dipende da ciò che ci capita ma da come reagiamo a ciò che ci capita.
Vero. E penso che una forte discriminante che distingue gli uomini sia proprio questa, la capacità di reazione a quello che ci capita.
Bellissimo post. Anche io mi trovo nella tua condizione, nella felicità di aver svoltato e nella consapevolezza che è la strada giusta, ma allo stesso tempo senza più un vero obiettivo, un fine tangibile. Il mio fine per ora, è la felicità del momento, il godere del tempo a disposizione e della libertà.
Beh, è una bella sensazione, e anche io me la sono goduta in diversi frangenti (certo, dopo aver risolto una serie di problemi pratici). Però non ho ancora imparato a vivere solo di presente, e le domande di sempre ogni tanto tornano a farsi vive.
Bellissimo post che riassume i tanti cambiamenti che stiamo vivendo, avvenuti maggiormente negli ultimi 6 anni. Tra tutti i problemi che creano nella vita delle persone, forse la cosa positiva sarà dare energia a una mutazione sociale da tempo dovuta. In fondo le grandi rivoluzioni sono sempre nate in momenti di crisi. Continua a scrivere! 🙂
Grazie Valerio. Effettivamente nell’aria da qualche anno ci sono tante proposte o idee di cambiamento, più o meno radicali. La crisi (economica e non solo) fa questo effetto. E come sempre accade, la società nel suo insieme oppone resistenza, mentre i singoli vanno in avanscoperta. Sarà una grande rivoluzione? La montagna partorirà un topolino? Da una parte invidio i miei genitori, nati dopo la guerra e invecchiati prima della crisi… Dall’altra sono invece contento di esserci.
Gli orizzonti dei nostri genitori erano molto ristretti, già trasferirsi dalla campagna alla “grande” città capoluogo di provincia era un cambio notevole. Noi abbiamo orizzonti ampi, quasi infiniti. Viaggiare e spostarsi non è mai stato più facile di adesso, il tutto mantenendo i contatti con la nostra vita passata grazie alla comunicazione via Web. Anche l’emigrazione è diventata 2.0 !
Beh, mi confrontavo con loro perché tutto sommato hanno avuto una vita mediamente più semplice rispetto alla generazione che li ha preceduti, e probabilmente (ma lo sapremo solo domani) anche rispetto alla generazione che li ha seguiti. Per quanto riguarda il viaggio (sto curiosando un po’ sul tuo blog, so che è un argomento che ti sta a cuore), è vero: abbiamo sicuramente un vantaggio rispetto a loro. Abbiamo la possibilità di scegliere dove cercare di dare un senso alla nostra vita.
Quoto tutto tutto, ogni parola, del post e della risposta a Stelle di Chiara.
Il mio “detto” preferito (che non so più se sia farina del mio sacco o meno) è che “i soldi servono a fare tutto ciò che non è fare soldi”.
Per me guadagnare o fare carriera non sono più obiettivi da perseguire, lo stipendio è un mezzo per poter fare tutte quelle esperienze a pagamento che rendono la vita più varia.
Comprare una casa non ha più quel valore che gli attribuivo da piccola: abbiamo sempre vissuto in affitto perché i miei aspettavano la pensione per comprare casa e io mi sentivo “una poveraccia”, poi hai casa e ti accorgi che è solo un vincolo che ti lega a un posto specifico.
Nemmeno io so quello che voglio, ovvio che voglio sentirmi “sicura”, voglio un tetto sopra la testa e qualcosa da mangiare, e non voglio quell’ansia costante che capisco benissimo in Stelle di Chiara, quella che sei a metà mese e hai già finito i soldi e non sai come fare ad arrivare al mese successivo (in bocca al lupo, il Cammino del Guerriero è difficile, ma ce la puoi fare). Ma al di là delle cose basilari so solo che vorrei avere tempo, più tempo per il Kung Fu, più tempo per leggere, più tempo per scoprire cose e conoscere gente e vedere posti. E per stare nella natura.
È vero, alla fine è una questione di priorità. La mia era quella di avere più soldi possibile per… spenderli in mille modi stupidi che però mi sembravano prioritari. Oggi non ho più la sicurezza lavorativa (ed economica) di ieri, non ho più lo status professionale di ieri, e probabilmente a breve dovrò vendere la casa dove abito. Ma non ho più neanche giornate lavorative infinite, weekend al computer o ferie col contagocce. Ho molto più tempo per stare con le persone cui voglio bene, per prendermi cura di me stesso, per leggere, per organizzare viaggi ed escursioni (poco importa se poi le farò o meno). Per sognare, anche. E per realizzare quanto fosse alto il prezzo che mi veniva richiesto prima.
E allora vedi che lo sai giù quello che vuoi? 😉
So che preferisco alcune cose ad altre. Ma non so ancora cosa fare… da grande 🙂
Cos’è il Cammino del Guerriero?
Guarda qui: http://it.wikibooks.org/wiki/Pensiero_castanedico/Etica_castanediana
Okay, grazie 🙂
Ieri ho guardato il lampadario, c’era uno sgabello vicino ed ho pensato a quanto sarebbe facile prendere una corda e lasciarsi penzolare… ho compreso chi lo fa e quanta disperazione hanno…
poi ho visto che la mia stanza era in gran disordine e mi sono messa a pulirla…
poi si sono allentati quei pensieri…
stamattina ho fatto una lista delle cose da fare… ma ancora non so cosa voglio dalla mia vita oggi…
non ho un lavoro, se per lavoro intendiamo quella cosa che ti porta uno stipendio a fine mese, sono due mesi in arretrato con l’affitto, sono cinque mesi in arretrato con le rate di un prestito, qualche bolletta da pagare…
mille idee molto confuse…
ma mi sento un Guerrierio in Cammino… qualche cedimento e dubbio sul campo può venire…
oggi vado avanti!
Grazie!
I dubbi sono all’ordine del giorno, i cedimenti sempre in agguato. Ma lo sgabello non è la soluzione. Non lo è mai. Io non comprendo chi lo fa. Trovo che la cosa più importante che hanno perso non siano i soldi, il lavoro, l’amore. Quello che hanno perso è la consapevolezza di essere vivi. E che essere vivi va oltre l’avere un bel lavoro, uno stipendio a fine mese, una donna (o un uomo) in casa, un ristorante il sabato sera e quindici giorni di ferie ad agosto. Neanche io so che cosa voglio esattamente dalla mia vita oggi. Ma ho già messo in fila un po’ di cose che sicuramente non voglio. Che non voglio più.