Becoming Minimalist: newsletter n. 11
by albi69
Negli Stati Uniti, e non solo, si comincia a parlare di Generazione M, ovvero di una nuova generazione che adotta il minimalismo come stile di vita. Ma di generazioni X, Y o Z sono pieni gli ultimi trent’anni di cronache americane. Si tratta in genere di mode o trend passeggeri, di cui si riempiono le pagine dei giornali e qualche volta i palinsesti di radio e tv, spesso a proprio uso e consumo esclusivo. Resterà qualcosa di questa nuova Generazione M? Ecco intanto i nuovi link a tema proposti dalla newsletter di Becoming Minimalist.
I link a siti e blog che parlano di minimalismo:
• La Generazione M vista da Joshua Fields Millburn and Ryan Nicodemus, The Minimalists (qui)
• Alcuni consigli per un decluttering serale, in vista di un risveglio più leggero (qui)
• Il possesso: un mito da sfatare (qui)
• Un’intervista (audio) a Joshua Becker di Becoming Minimalist (qui)
• Una guida al decluttering natalizio (qui)
• I negozi a Natale sono chiassosi, disordinati, pieni di gente. E poi il traffico, i soldi… Eppure siamo tutti lì. Ne parla il New York Times (qui)
• Fare e ricevere regali: dietro c’è una scienza. Ne parla il Wall Street Journal (qui)
• 90 idee regalo che non si trasformano in oggetti inutili e ingombranti (qui)
• 12 passi per rendere più significativo il Natale (qui)
P.S.: la foto l’ho presa dal sito thestar.com, quello del primo link proposto
C’è un equivoco di fondo che è come il classico elefante che non viene notato. Ed è questo: minimalismo vuol dire solo in minima parte “oggetti”, “beni”, “orari”, etc… Non si considera la Società in cui siamo immersi. Mi spiego meglio: se io desidero autostrade sicure e capillari, non posso essere minimalista. Perché a livello industriale ciò presuppone uno sforzo straordinario. Quindi posso rinunciare a tutti gli oggetti che voglio, ma se desidero, ad esempio, mezzi pubblici efficienti, ferrovie, ospedali, scuola, sanità, istruzione, aeroporti, non può esserci minimalismo. Perché queste strutture, che tutti vogliamo, hanno un impatto migliaia di volte superiore in termini industriali, di spesa, di inquinamento persino, a quelle che possono derivare da una scelta individuale.
Una società con un forte welfare, per definizione, non può essere minimalista. Perché il Wlefare stesso è un organismo elefantiaco, mastodontico, pesante, politicizzato, sprecone per le sue stesse dimensioni.
Minimalista può essere un paese del sud in cui, e capita, tutte queste strutture sono assenti, niente ferrovie, niente mezzi pubblici al massimo una corriera, una scuola che serve tra paesi, una asl a venti-trenta chilometri, strade che magari non consenono il via vai di mezzi troppo pericolosi, etc… Però anche lì gli sprechi ci sono.
E se vogliamo un sistema democratico prlamentare con sindaci, assessori, consiglieri, provincie, regioni, Stato, in modo analogo non si può essere minimalisti perché la politica ha anch’essa un costo ma è necessaria l’alternativa.
e così via. Quindi, come si suol dire: “Filtriamo il moscerino e lasciamo passare l’avvoltoio”.
D’altro canto rinunciare al welfare elefantiaco sarebbe un rischio tremendo perché il “minimalismo” potrebbe portare a squilibri ancor più devastanti.
Se una mamma di famiglia chiede “più mezzi di trasporto per gli studenti”, giustissimo, l’impatto è tale da vanificare i tentativi “minimalisti” che la persona o la famiglia sono portati a fare. questa nella realtà pratica di una società.
A livello psicologico magari è diverso, ma sono aspetti distinti, una cura disintossicante dalla mentalità imperante che non è tanto, per me, “massimalista”, no, è soltanto “cieca”. E’ distratta, inconsapevole. e questo porta a cercare cose sempre più “grandi” e “numerose” che possano essere “viste”.
Per quanto possibile, sto cercando di evitare in questo blog di parlare di politica e di politiche sociali. Mi sembra essenzialmente inutile e ci sono luoghi migliori per farlo. Vorrei quindi evitare di parlare di come la nostra società si sia sviluppata o… sottosviluppata. Mi limito a dire che non ho la minima fiducia su un possibile cambiamento sociale, sia esso in direzione minimalista o in altra direzione. Quello che mi interessa e di cui parlo qui, è un cambiamento individuale. Credo sia l’unico cambiamento possibile, anche per le ragioni che dici tu. E non mi pongo il problema… “se tutti diventassero minimalisti, cosa succederebbe a questa società?”. Non me lo pongo perché intimamente credo che peggio di così le cose non possano andare. E sotto sotto anche perché reputo impossibile, o quantomeno utopistico, un cambiamento sociale in senso minimalista o, come leggiamo, felicemente decrescente…
Le società non cambiano, le società muoiono e ne nascono altre.
Però non parlo di politica. Ma di realtà in cui adesso concretamente si vive. 100% realtà insomma. E scelte. E la domanda alla fine è una sola, se ti dai una risposta certa il percorso è finito, basta fare. La domanda è questa: l’azione che sto compiendo (in direzione del minimalismo, di un aumento di ore di lavoro per ottenere invece maggiori opportunità, nuovi obiettivi, non ha importanza)…
E’ un’azione valida ai fini di ciò che desidero? Se sei certo della risposta il fare diventa facile. Facile perché uno fa, non perché davvero ottiene, però fa. Magari ottiene, magari no, ma non ha importanza per un motivo: se uno fa qualcosa in cui crede, con fiducia, è già arrivato, quel momento è già “felice”.
il problema è quando fai ma non sei felice. Lì occorre interrogarsi perché potrebbe essere sbagliato tutto.
Dopo anni in cui molti di noi (io per primo) si sono lasciati vivere adagiandosi, l’azione diventa l’unica risposta credibile.
Grazie per i notevoli suggerimenti!
Grazie a te. Io qui mi faccio solo tramite dei suggerimenti altrui 😉
La mia famiglia è sempre stata “minimalista” per necessità. E questo da generazioni.
Mi ricorda una cosa che ho sentita per radio, molto vera, si parlava della crisi del ’29 negli Stati Uniti, ove la condizione dei neri non cambiò perché loro erano già poveri, in miseria, anche senza “la crisi”.
La frase è questa: “La crisi divenne crisi solo quando colpì i bianchi”.
Per il minimalismo è lo stesso: diventa minimalismo solo quando colpisce le fasce più “importanti” della società, dalla media borghesia in su, luoghi di benessere, categorie su cui si accendevano i benevoli occhi delle telecamere, paradigma di un Italia che in realtà non era il “Paese” ma solo le aree migliori e più ricche del “Paese”.
Ai miei occhi questo “minimalismo” ha una tale povertà di contenuti non perché sia povero in sé, è solo che non c’è davvero nulla di nuovo a meno che uno non abbia davvero voluto vedere cos’era in realtà l’Italia, l’Italia del sud, degli emigranti, dei senza lavoro e degli sfruttati. Che non sono pochi, sono semplicemente senza voce. Pasolini è stato un grande testimone di questo gioco, quest’illusione mediatica. Tagliando questa parte scomoda ciò che rimane è l’opulenza e fa senso vedere l’opulenza che si ridimensiona. Però, come dire, il minimalismo non porta a nulla e lo so per un motivo: ho già vissuto in una società “minimalista per forza” e so cos’è. Quando leggo le “ricette minimaliste” non posso fare a meno di sorridere.
Beh, il sorriso è comunque positivo, no? Sì, devo dire che quando leggo o scrivo di certe cose, mi rendo perfettamente conto che chi legge potrebbe essere in una situazione di ‘minimalismo proprio-malgrado’, e che la reazione alla lettura potrebbe anche essere non esattamente quella del semplice sorriso. D’altra parte è anche vero che c’è moltissima gente (sempre di più stando alle statistiche ma anche solo ai notiziari) che si trova invece in una situazione nuova. È proprio quella classe media che dicevi tu, che abituata a una opulenza precaria, oggi si vede franare le sicurezze economiche sotto i piedi. E mi dico che queste persone, come è successo a me da una anno a questa parte, potrebbero invece trarre giovamento da queste letture, o quantomeno considerarle non proprio inutili. Però mi piace pensare che, in una certa misura, anche chi non ha grossi problemi economici possa trovare interessante questi argomenti, e magari decidere di fare delle scelte ‘minimaliste’ anche senza averne la necessità. Per quanto riguarda le conseguenze di uno stile di vita al minimo, io credo che da qualche parte possa portare, almeno finché si tratta di una scelta. Se non è una scelta, ma vi si è costretti, il discorso sicuramente cambia. Ma vorrei che ci intendessimo su cosa significa minimalismo. Banalmente: il povero che non desidera i beni materiali del ricco perché è consapevole di non averne bisogno, sta meglio del povero che li desidera. Ovviamente qui nessuno pensa che il minimalismo sia la soluzione per il povero che desidera semplicemente riuscire a mettere insieme il pranzo con la cena.