Perdere il lavoro 3: Cambia le tue abitudini
by albi69
Come ho scritto in precedenza, dopo aver perso il lavoro, ho vissuto per un certo periodo con un senso di smarrimento, dovuto essenzialmente al fatto di trovarmi di punto in bianco a dovermi organizzare la giornata da zero. Lavorando in media una decina di ore al giorno, mi ritrovavo improvvisamente con ben dieci ore quotidiane da riempire in qualche modo. Non ci ero abituato.
Normalmente la mia vita si svolgeva in maniera piuttosto regolare. Sveglia alle 7.00, colazione e poi fuori. Prima accompagnavo mio figlio a scuola, e poi andavo in redazione (l’ufficio era piuttosto vicino a casa mia, e muovendomi quasi sempre con lo scooter, la cosa era piuttosto rapida). Dieci ore circa al lavoro, con pausa pranzo al bar sotto l’ufficio, o con il classico panino/pizza alla scrivania nei giorni di maggior impegno. Poi, generalmente, a casa fra le 19.00 e le 20.00. Il tempo di cambiarmi e di giocare mezz’ora con il bambino, ed ero a tavola per la cena. Il dopo-cena, come scrivevo qui, era dedicato alla televisione, un po’ per motivi professionali, un po’ per diletto. Come molti rimandavo al weekend le attività estemporanee, le uscite con gli amici, le commissioni, le visite ai parenti ecc. La vita normale di una persona con famiglia. Una vita estremamente abitudinaria. Così abitudinaria da ritrovarmi completamente frastornato nel momento in cui mi sono ritrovato con dieci ore ‘libere’ in più. Non poter più osservare le mie vecchie abitudini mi spiazzava del tutto. Tanto che nelle prime settimane (forse nei primi mesi) ho continuato a conservare il conservabile: continuavo a svegliarmi alle 7.00 e a portare mio figlio a scuola, e fin qui niente di particolare. Il bello però è che anche se ero a casa (e ci sono stato per un bel po’), a metà mattinata scendevo al bar a prendermi un caffè, e all’ora di pranzo scendevo a prendermi un panino o un pezzo di pizza. Ridicolo, no? Ero a casa e avrei potuto prepararmi il caffè da solo e cucinarmi qualcosa a pranzo (non che mi mancasse il tempo per farlo). Non ho neanche la scusa che potesse essere lo stesso bar e la stessa pizzeria di sempre dove magari potevo scambiare due chiacchiere con gli abituali avventori che incontravo quando lavoravo. È questa la ‘forza dell’abitudine’, espressione che spesso usiamo anche senza riflettere sul suo significato e sulla potenza coercitiva che l’abitudine esercita sulle nostre vite. Giorno dopo giorno, ero diventato schiavo delle mie abitudini. Abitudini che a quel punto erano diventate dannose (non fosse altro che un panino al bar costa 4-5 euro).
Capovolgendo la prospettiva (questa sì, un’abitudine positiva, come ho imparato negli ultimi anni), perdere il lavoro da la possibilità di riorganizzare la propria vita. Di abbandonare le vecchie abitudini legate ai propri ritmi lavorativi e di acquisirne di nuove, più utili, più produttive e più salutari. Per me è significato soprattutto regalarmi molto più tempo ‘di qualità’ da passare con mio figlio. Se penso a quanto tempo ho passato con mio figlio negli ultimi quattro anni, rispetto a quello che ho passato con lui nei suoi primi sei anni di vita, non posso fare a meno di pensare che la mia vita sia stata migliore nei miei quattro anni di ‘precariato’ e disoccupazione che in quelli di benessere e di stipendio garantito. Chiaramente qui ci sarebbe da aprire una lunga parentesi da dedicare alla mia situazione economica di questi ultimi anni, ma mi porterebbe troppo off-topic e ho in programma un post a parte su questo argomento. Ho avuto la possibilità, per la prima volta, di adeguarmi io alle necessità e ai tempi di mio figlio (anziché il contrario), e considero questo un grande regalo che ho fatto a me stesso e a lui. Ho vissuto con lui momenti importanti, che potrei essere costretto a trascurare nuovamente nel momento in cui avrò la possibilità di tornare ad impegnarmi professionalmente per cinque giorni a settimana come prima. Ho potuto seguirlo a scuola e nello studio, nello sport e nelle sue piccole avventure di ‘scoperta del mondo’. Sono riuscito per la prima volta anche a dare una mano in casa a mia moglie che di contro, di fronte alle mie difficoltà, ha avuto necessità di impegnarsi di più nel suo di lavoro. Mi sono fatto carico di alcune incombenze che prima ricadevano esclusivamente su di lei, imparando a lavare e stirare, e a pulire la casa (per quanto mai abbastanza, secondo lei). Lavatrice, lavastoviglie e aspirapolvere non hanno più segreti per me. Insomma, in un certo senso, ho recuperato in parte dove prima la mia assenza era cronica. Partecipare di più alla gestione della casa mi ha fatto sentire per certi versi importante, aspetto da non sottovalutare quando ti investe la forte sensazione di impotenza e fallimento che deriva dalla perdita del lavoro.
Detto questo, gran parte del mio tempo lo dedicavo ovviamente alla ricerca (per troppo tempo infruttuosa) di un nuovo lavoro, nonché a gestire le conseguenze incredibilmente ingombranti di tutti gli strascichi che il mio vecchio lavoro mi aveva lasciato. C’era di mezzo il fallimento dell’azienda, contributi non pagati, difficoltà per recuperare i soldi del tfr e persino della cassa integrazione, e quindi avvocati, giudici, Regione, Inps e…. aiuto!.
Anche se ho scoperto la sua esistenza solo un anno fa o poco più, mi è stato molto utile per ragionare sulle abitudini, sui loro strascichi e di contro sull’importanza di costruirsi ‘buone abitudini’, un blog americano, zenhabits.net. L’autore è un blogger molto conosciuto che si chiama Leo Babauta, uno dei ‘guru’ del minimalismo americano. È scritto in un inglese piuttosto semplice ed è pieno di ottimi consigli per eliminare abitudini inutili e acquisirne di nuove più costruttive e salutari. Altamente consigliabile.
Ciao Massimo, ho letto il tuo post per caso, navigando, cercando spunti per la tesi che sto scrivendo, ho letto che lo hai scritto due anni fa…mi sono emozionata…condivido tutto quanto, mi sono ritrovata a pennello quando parli di tuo figlio e del tempo di qualità recuperato o ritrovato a seguito della perdita del lavoro…Anche io ho perso il lavoro due volte, dopo la nascita dei miei due figli, al compimento del loro primo anno di età…ho lavorato dieci anni per la stessa azienda…alla fine mi sono ritrovata immersa in uno stato di grande incredulità, tristezza e sconforto, senso di tradimento e smarrimento, senso di vuoto intorno a me, vedere le persone con cui ho condiviso “nel bene e nel male” la quotidianità per così tanto tempo allontanarsi gradualmente da me con un’indifferenza che mi ha lasciato l’amaro in bocca, mi ha fatto piangere, sono stata male dentro…eppure la vita continua e i figli e la famiglia ti danno grande forza. Poter essere sempre presente mentre i tuoi figli crescono, vivere appieno l’inizio della scuola, aiutare il più grande nei compiti, giocare con entrambi senza limiti di tempo, poter essere una mamma a tempo pieno ha guarito quella ferita che si era venuta a creare, anche se la cicatrice resta. Poi, in questo momento di stasi lavorativa, ho pensato di aprire il cassetto dei sogni, di ricominciare a nutrire la mente e l’anima…con lo studio, che è sempre stato una mia passione. Mi sono iscritta di nuovo all’ università, laurea magistrale in lingue, ed ora sono arrivata alla tappa finale. Non l’avrei mai detto, sono fiera di me! Sono felice di aver compiuto questo percorso, non so se un giorno riuscirò ad insegnare, ad avere una classe di alunni che mi ascoltano, mi fanno domande incuriositi, giovani a cui trasmettere l’amore per la lettura, lo studio e le lingue straniere. Il futuro dell’insegnamento è piuttosto nebuloso ma ho pensato che se non avessi almeno fatto un tentativo, me ne sarei pentita per il resto della vita. Ora i miei bimbi hanno sei anni e tre anni, sono la mia forza e il mio orgoglio, anche loro felici di avere la loro mamma a casa quando tornano dalla scuola e dall’ asilo. Le innegabili difficoltà successive alla perdita di lavoro ci sono ma come giustamente scrivi tu, in qualche modo è possibile tornare a sognare e riacquistare la propria identità. Considerare la mancanza di lavoro come una opportunità per seguire le proprie inclinazioni e non come un macigno che ti porta sempre più in basso può essere una soluzione. Less is more! Buona giornata.
Ciao ‘Mommy’ (psst… mi chiamo Alberto, non Massimo). Grazie per il tuo commento. Caspita, sono passati quasi due anni da quel post, aarggh! come corre il tempo! Sì, quello è stato un periodo davvero particolare per me, e scrivere quella serie di post mi ha aiutato molto ad esorcizzare alcune paure, e a razionalizzare quello che fino a quel momento mi era sembrato un tunnel senza fine. A distanza di due anni posso aggiornarlo così. Pensando che la perdita del lavoro fosse la fine del mondo, in un certo senso avevo ragione. Quello che a me è successo qualche anno fa, stava succedendo anche a migliaia di altre persone. E sarebbe successo ad altre decine di migliaia di persone negli anni successivi, e purtroppo, probabilmente succederà anche a tanti altri. Questa è effettivamente la fine del mondo, la fine del mondo che conoscevamo, fatto di un lavoro quando non intoccabile, almeno stabile o… fisso, di uno stipendio sicuro, delle rate per l’auto e il mutuo per la casa. Delle vacanze al mare e magari del viaggetto all’estero. Del ristorante almeno una volta a settimana, del cinema o dello stadio nel fine settimana. E mi fermo qui. Perché per gran parte di noi quel mondo non esiste più. Non mi dilungo su responsabilità e possibili soluzioni strutturali perché non è qui il luogo e non sono io la persona titolata a farlo. Ho fatto questa premessa per ribadire ancora una volta che se oggi perdi il lavoro, semplicemente non è colpa tua. Sarebbe invece colpa tua struggerti perché non puoi permetterti le rate della macchina o per la casa. Non ce la fai? Restituisci l’auto e vendi la casa. Il fatto che tu sia vissuto in un certo modo finora, non significa che tu non possa da domani vivere in un altro modo. Certo, dovrai fare delle rinunce, anche pesanti. Ma se quel mondo lì è finito, il tuo deve comunque andare avanti. Io sono andato avanti. Ora ho un lavoro assolutamente precario. Oggi c’è, domani potrebbe non esserci più. Ho dovuto imparare a non fare programmi che vanno oltre un mese da adesso, ad approfittare delle offerte nei supermercati, a riparare anziché cambiare, a fare in casa quello che poteva essere fatto in casa. Purtroppo ad essere nebuloso non è solo il futuro dell’insegnamento. Lo è quello di tutti noi, quello dell’Italia. Ecco perché è importantissimo non smettere mai di sognare. La tua vicenda mi ha colpito. Sei un mito! Intanto perché riuscire a studiare con due bambini piccoli per casa non deve essere stato facile. E poi perché hai realizzato uno dei tuoi sogni, probabilmente uno dei più grandi. Anche io ne ho realizzati alcuni, più piccoli certo, ma si parte sempre dagli obiettivi più semplici, no? E sai una cosa? I miei sogni non c’entrano nulla con la mia vita di prima. Non sogno di tornare una volta a settimana al ristorante, non sogno di potermi ricomprare una casa a costo di un mutuo ventennale, non sogno la macchina nuova (ma questa effettivamente non l’ho mai sognata neanche prima). Oggi i miei sogni sono diversi. È come se azzerare tutto sia servito a diradare una nebbia accumulata negli anni che mi impediva di vedere le cose che veramente mi avrebbero portato gioia. Oggi, per quanto sia più impegnato di due anni fa quando ho scritto il post, continuo a passare molto tempo con mio figlio, e vederlo crescere mi da una gioia indescrivibile. Insieme parliamo dei viaggi che mi piacerebbe fare con lui, condividiamo una certa passione per l’avventura, per lo sport, ma anche per il gioco e quella che per me è cultura e per lui “tantissimi compiti da fare”… A che mi serve allora una macchina da pagare a rate? Ciao!
Ciao Alberto! Diciamo che quello che più mi ha lasciato perplessa (per non dire di stucco prima, depressa poi) è stata la reazione dei miei ex-colleghi e ex-colleghe che non si sono preoccupati poi così tanto per me…non pretendevo assolutamente di essere compatita nè coccolata…ma non mi aspettavo di trovare quasi subito il vuoto intorno a me…una rete di relazioni che pensavo di aver instaurato si è rivelata inesistente…diciamo che in quei momenti neri ti rendi conto di chi veramente ti ama, la famiglia, pochissimi amici, ma davvero pochissimi…il cerchio si restringe…e riporre fiducia nell’ altro poi ti costa fatica perchè temi sempre di restare di nuovo scottato…comunque non voglio annoiare nessuno con le “mie memorie” e ringrazio te, facendoti i complimenti per il tuo blog interessante. Un confronto con chi ha vissuto esperienze simili alle proprie non fa mai male, anzi, ti apre gli occhi! Come per te, i miei figli rimangono al primo posto: quando lavoravo, soffrivo da morire per non poter andare a prendere mio figlio di un anno e mezzo all’ asilo perchè non potevo essere sicura di rispettare l’orario di uscita…perciò ero costretta a delegare ed arrivare a casa quando lui era ormai stanco, addormentato o si era fatto tardo pomeriggio e la routine della giornata non mi permetteva di dedicare il tempo che volevo al gioco con lui…Eppure lavoravo come tante altre mamme, sempre di corsa, con l’ orologio che scadiva ogni momento, avevo comunque una identità, perchè il lavoro ti dà una identità e per questo ti ci riconosci anche se non è la tua massima aspirazione nella vita…Poi di botto lo perdi e ti sembra di perdere la tua essenza: le tue abitudini e ritmi cambiano, come giustamente scrivevi nel primo post…eppure in quel momento trovi un’occasione per riflettere e pian piano scopri quello che hai sacrificato: il tempo per le persone che più al mondo ami e le tue passioni più profonde, perchè no?Ancora grazie, ciao!
Che assurdità, eh? Il lavoro ti regala dei finti amici e una falsa identità. Perso il lavoro perdi anche gli amici e l’identità. Averlo saputo prima, avrei passato molto più tempo con le persone che amo e che mi vogliono veramente bene. Grazie a te!
Tutto molto interessante e pieno di positività, ma non tutte le esperienze sono uguali e non sempre ci sono guru che possano risolvere problemi legati alla perdita del lavoro.
La senzazione che pesa di più e la perdita di prospettive e di un futuro.
Mi chiamo Massimo ho 56 anni non ho più un lavoro.
«Vedo di fronte a me un mondo doloroso e sempre più squallido. Non ho sogni, quindi non mi disegno neppure una visione futura». Pier Paolo Pasolini
Ciao Massimo. Come ho premesso più di una volta, da quando ho cominciato a scrivere questa serie di post, non ho pretese di dare ricette o soluzioni. Racconto solo la mia esperienza, e segnalo tutto quello che a me è stato d’aiuto. Con questo non cerco certo di risolvere il problema degli altri. Però magari qualcuno può trovare utile qualcosa di quello che ho vissuto e di cui scrivo. Io il lavoro l’ho perso a 41 anni (39 in realtà, poi ci sono stati due anni di cassa integrazione). È stato un colpo duro, non mi aspettavo di dover ricominciare tutto dall’inizio. Ma soprattutto non mi aspettavo di doverlo fare in un momento così difficile per il lavoro in generale. In pratica un disastro, la crisi già bella radicata e l’impossibilità di continuare a fare quello che era stato il mio lavoro per quindici anni. Vedevo solo nero, e i momenti di sconforto erano tanti, soprattutto perché capivo che neanche le persone che avevo più vicino riuscivano a comprendere cosa significava veramente per me. I miei problemi di lavoro non sono affatto risolti, la precarietà è il mio pane quotidiano. Però è cambiato il mio modo di guardare alla realtà. Sono cambiate le mie priorità. Mi sono accorto di poter vivere diversamente da prima, facendo a meno di molte cose superflue che prima consideravo irrinunciabili. Ancora: questa è la mia esperienza. E capisco benissimo che c’è differenza anche fra avere 40 anni e averne 56. Ma sono comunque convinto che ci sia un modo (ci deve essere), per chiunque, a prescindere dall’età e dalle situazioni, per liberarsi dalla sensazione di impotenza che ti attanaglia. E per ricominciare a sognare. La ricerca potrebbe essere lunga. Ma ne vale la pena. In bocca al lupo!
Anch’io ho scoperto il minimalismo tramite Leo Babauta 😀
Non vorrei esagerare, ma mi ha cambiato la vita…e me la continua a cambiare 🙂
Bello anche questo post, ed è applicabile anche a chi il lavoro non ce l’ha mai avuto: la mia prima ricerca di lavoro (durata 2 anni dopo la laurea) somiglia molto alla descrizione di quei primi momenti, da persona con un’identità (studente) mi sono ritrovata a non essere più niente….devastante. Meno male che ora sono cresciuta, se mi ritroverò in quella situazione spero di riuscire a cambiare prospettiva come hai fatto tu
Beh, nel mio caso si è trattato (e si tratta) del classico “o ti mangi ‘sta minestra o…”. Io la prospettiva ho dovuto cambiarla, non avevo alternative. Certo, ora mi sento molto meglio, anche solo per il fatto di averlo intrapreso questo viaggio. Chissà dove ci porterà…?