La decrescita in prima tv
by albi69
Beh, interessante. Si comincia a parlare di decrescita come possibile soluzione anche in televisione. Poco, ma se ne parla. Un fuoco di paglia?
Beh, interessante. Si comincia a parlare di decrescita come possibile soluzione anche in televisione. Poco, ma se ne parla. Un fuoco di paglia?
Ciao Alberto. La tua analisi collima perfettamente con quanto ho cercato di esprimere nel primo post. In effetti il punto è proprio questo, il mutamento delle condizioni economiche ha sempre generato delle modificazioni sociali. Assodato ciò, la tua analisi sui cambiamenti a livello del singolo non fa una piega, poi naturalmente si traduce in mutazioni sociali appena supera la soglia del singolo e si trasforma in fenomeno più ampio. Indubbiamente l’attuale situazione economica spinge molti, almeno con la fantasia, a immaginare possibilità di vita alternative, io stesso sogno un isolotto del Pacifico dove i bisogni sono nutrirsi, un paio di calzoncini per decenza e una maglietta per l’addome non proprio tartarugato, basta, tutto qui. Ma ovviamente qui ho estremizzato il concetto per questioni di comodo dialettico. Esistono sicuramente delle condizioni di vita alternative, anche in una società come la nostra, e tu con i tuoi post e le tue riflessioni le stai già proponendo, o anche solo ipotizzando. Il punto è che entrano in gioco logiche individuali tutto sommato complesse. Alcuni di noi sanno cosa significa tagliare con la vita avuta fino al giorno prima e cominciarne una nuova, per farlo non c’è bisogno di andare a migliaia di km di distanza. Altri però, fanno fatica a pensarsi altrove, o in altro modo, ruolo, condizione etc. La componente individuale in questo caso è molto forte, fermo restando il principio di adattabilità dell’essere umano che a mio avviso con l’esigenza si traduce facilmente in azioni. I libri che citi riflettono le idee e le esperienze di molti navigatori solitari che hanno tagliato con il loro passato perchè hanno ritenuto a un certo punto di aver trovato l’essenza della vita nel peregrinare senza sosta tra popoli diversi. Un esempio è stato Moitessier, partito per un giro del mondo sportivo e poi divenuto navigatore solitario per scelta di vita, perchè si considerava, dopo quanto aveva visto e vissuto, incapace di rinchiudersi in una gabbia urbana. Conosco personalmente navigatori solitari che hanno fatto questa scelta, se li senti parlare sono la sintesi di quanto stiamo cercando di dire qui. I loro bisogno sono concreti, mai superflui. Un mio caro amico navigatore solitario, che mi ha anche ospitato a bordo per qualche giorno quando ancora era in Mediterraneo, è uno che per potersi mantenere tra un porto e l’altro e poter provvedere alle riparazioni della barca si adopera a fare lavori nei cantieri navali in prossimità dei porti che tocca, poi, tanto per non farsi mancare nulla si è fatto carico di portare in posti remoti generi di conforto per le popolazioni disagiate come azione di volontariato, poi…insomma, l’arte di fare il necessario per il necessario. Scusa se insisto con la cultura orientale, ma non posso nascondere di subirne il fascino pur essendo un ignorante in materia, se non modesto conoscitore di qualche piccola cosa letta per curiosità, ma per esempio, quante volte vedi scartare qualcosa perchè ritenuto logoro, non più decente, non più all’altezza di essere presentato etc. però perfettamente integro nelle sue funzioni. Proprio il mio amico navigatore un giorno parlando in barca di astrazioni varie, mi propose di leggere un libro giapponese sulla filosofia dello stile Wabi Sabi, che per me poteva anche essere una succulenta salsa da mettere sul sushi. Letto il libro, che se vuoi ti presto perchè è tra le migliaia di cose conservate (…), ho ricavato una nuova idea sul concetto di logoro, che si avvicina invece al concetto di usato dall’essere umano, o meglio ancora da me, con i segni del mio utilizzo, con la mia firma esclusiva, perchè i segni che posso lasciare io nessun altro li avrebbe lasciati in modo identico, quantomeno perchè avrebbe usato lo stesso oggetto in modo diverso. Ora la filosofia che si esprime con il Wabi Sabi è un tantino più profonda e articolata, ma il concetto che ne ho ricavato io è questo, una cosa usata è bella perchè ha assunto l’umanità che prima non aveva. Anche questo concetto se esteso e compreso nella sua essenza oggi potrebbe trovare un terreno nuovo pronto ad accoglierlo, del resto siamo tutti più o meno chiamati a considerare da buttare qualcosa quando proprio è finito…ma tu prendi i jeans, quandi di noi senza saperlo lo hanno applicato per anni (per decenni nel mio caso, ne conservo ancora degli anni ’80, che neanche come calzini mi stanno più). A questo punto mi accorgo di essere partito per la tangente, però credo di essere riuscito a esprimere la volontà di analizzare l’argomento, di valutare vie alternative di vita quotidiana. Il tutto senza respingere lo sviluppo tecnologico, senza rinnegare il consumismo con motivazioni politiche o ideologiche di alcun tipo.
Non so se un’alternativa c’è o non c’è. Ma cercarla è bellissimo… Adf
Caro Alberto,
ho letto con molto interesse i tuoi post, dei quali condivido l’essenza del pensiero e la filosofia che forse, dovremmo tutti cercare di affrontare.
Le tue riflessioni mi hanno spinto a rammentare le parole di un pensatore orientale, il quale dopo fiumi di riflessioni tradotte in pagine, arrivava a una conclusione semplice: il desiderio è fonte di sofferenza. Ovviamente tale conclusione va circostanziata, deve essere necessariamente inserita all’interno di un contesto filosofico ben definito. Altri pensatori sostengono che il desiderio sia in realtà il motore dell’agire in quanto fonte di motivazioni, anche questa affermazione nel suo contesto scientifico ha sicuramente validità. Ma il tuo riagionamento trova a mio avviso riscontro se si valuta il desiderio di possesso come un atteggiamento privo di controllo, fenomeno dovuto all’eccessiva disponibilità di beni che per alimentare l’industria superano il limite del necessario. Il male da valutare a questo punto diviene il nostro atteggiamento, perchè è vero che l’industria fa il suo mestiere, ma è anche vero che senza il nostro arbitrio, il possesso di beni di qualsiasi natura spinge il modernismo verso l’inevitabile perdita di contatto con ciò che veramente è necessario. Un ragionamento che mi sono trovato a fare anche io spinto dalla necessità – quest’ultima determinata dal protrarsi di una crisi che mette tutti nelle condizioni di valutare meglio cosa è necessario e cosa è superfluo – è il rapporto tra il sentimento di posseso e quello di utilizzo nei confronti di un determinato bene. Se andiamo ad analizzare i nostri atteggiamenti nei confronti di tanti beni dei quali disponiamo, ci accorgiamo che siamo più attratti dal loro possesso anzichè dalle loro funzioni specifiche. Un esempio personale: come sai ho sempre avuto una moto, bene, la crisi mi ha costretto al risparmio e ho venduto quella che pur offrendomi in termini di utilizzo tutto quanto mi serviva, mi poteva garantire un reintegro delle finanze. Avendo comunque bisogno di un mezzo simile, ne ho acquistata una con oltre 20 anni alle spalle, pagandola praticamente niente, un vecchio rudere con il quale percorro circa 30 km al giorno con ogni tempo. Il risultato è che in termini di funzione non è cambiato nulla, anche prima percorrevo gli stessi km ogni giorno, ma la differenza risiede nel sentimento di possesso che in teoria non dovrebbe più trovare gratificazione in un mezzo così vecchio e malandato. In pratica non è così, perchè lasciando che sia il sentimento di impiego quello al quale ho affidato il mio rapporto con il mezzo, entrambi sono soddisfatti. Non ho pretesa di insegnare nulla a nessuno, ma su questa logica potrei stilare un lungo elenco di oggetti superflui perchè soddisfano solo il sentimento del possesso, ma dei quali posso serenamente fare a meno. Ecco cosa mi ha spinto a scriverti, hai tradotto in parole un sentimento che credo stia prendendo corpo in molti di noi, o meglio, una consapevolezza. Ovvio che l’aspetto sociale ricopre una componente importante, ma è altrettanto ovvio che se soddisfo la società che mi circonda arrivando puntuale e lavorando seriamente anche con un vecchio pezzo di ferro da tetano, l’aspetto sociale è salvo. A questo punto intervengono logiche psicologiche individuali, ma su questo non mi pronuncio, rischierei solo di dover ammettere che razza di orso sono diventato, e che non mi dispiace neanche tanto.
Ciao Angelo, e benvenuto sul blog. Io penso che ci circondiamo di oggetti per i motivi più disparati. Perchè ci piacciono, perchè ce li hanno gli altri, perchè ce li possiamo permettere, perchè ci ricordano…, perchè fa fico, perchè così mi si nota, perchè ormai mi sono abituato così, perchè lavoro così tanto che voglio togliermi qualche piccola soddisfazione, perchè è moderno, perchè è antico, perchè va di moda, perchè senza non potrei mai…, perchè… che fai non ce l’hai? E poi, certo, anche “perchè mi serve”. Tanti perchè = Tanti oggetti. E riempiamo le nostre case, le nostre teste, le nostre anime di oggetti. Eppure quelli veramente necessari sarebbero così pochi… Niente di male, per carità. Salvo che poi gli oggetti, che non sono solo oggetti fisici, ma anche oggetti mentali, pensieri, si accumulano, si accavallano, si pongono fra te e quelle che sono le cose che dovrebbero essere veramente importanti per te, la tua soddisfazione personale, i tuoi affetti, le tue aspirazioni, i tuoi sentimenti, la tua realizzazione. Io per anni e anni ho accumulato di tutto: dischi, libri, film, giornali, riviste, fumetti, vestiti, cianfrusaglie di tutti i tipi, e poi ancora souvenir, ricordi, fino a qualche tempo fa avevo ancora qualche libro del liceo (e forse uno ce l’ho ancora). Devo guardare bene, ma credo di avere ancora delle audiocassette, mentre so per certo che ho ancora una cassa di dischi in vinile, mentre il piatto del mio giradischi giace su un soppalco da almeno dieci anni. Ho lavorato tanto, ho guadagnato bene, ma ho speso male gran parte dei miei soldi. Che per inciso non bastavano mai. Lavoravo, guadagnavo, compravo (prodotti, ma anche beni e servizi). E siccome non potevo comprare tutto quello che volevo, cercavo a tutti i costi di guadagnare di più, lavorando ancora di più. Che senso ha? E che senso ha continuare ad accumulare? Se qualcosa di buono ce l’ha questa fase economica, e tu sai quanto mi costa dire che c’è qualcosa di positivo in tutto questo, è proprio il fatto che costringerà molte persone a rivedere il proprio modo di vivere, che le costringerà a farsi due conti, in senso figurato e non. A farsi delle domande sul futuro proprio e degli altri. Non mi aspetto certo una rivoluzione culturale generalizzata, non succederà. Ma a tante piccole rivoluzioni personali, devo dirti la verità… un po’ ci credo. Conoscendo la tua passione per il mare e la nautica, probabilmente conoscerai Simone Perotti, un ex-manager che ha preso ed ha mollato tutto (la sua attività principale negli ultimi anni è stata quella di dare lezioni di vela, spostare barche, metterle a posto ecc.). Una cosa che hanno fatto in tanti, ma adesso questa cosa si chiama ‘downshifting’, va molto di moda e se ne parla parecchio. Lui è stato molto bravo, ci ha scritto sopra dei libri, ed oggi è considerato un po’ un modello per chi qualche dubbio su come funziona la nostra società sotto-sotto ce l’ha. Ti consiglio di leggere il suo ultimo libro, “Avanti Tutta” (chiarelettere), anche se non avessi letto il precedente “Adesso basta!”. Alcuni passaggi sono illuminanti. Adf