Un Minimalismo nuovo. Diverso. Migliore?
by albi69
Ho trovato un articolo interessante sul blog americano Dumb Little Man. Parla di me, e credo anche un po’ di voi che come me avete trovato, in quest’epoca un po’ precaria, la necessità di mettervi sulle tracce di un modo più equilibrato di vivere. È un’interessante analisi di questa ondata di minimalismo-al-tempo-della-crisi. L’originale è qui. A seguire c’è la traduzione e alcune mie considerazioni. Ovviamente aspetto le vostre.
Il nuovo, migliorato Minimalismo: consumare meno e vivere di più
50 anni fa, una bottiglia da mezzo litro di Coca-Cola veniva considerata una porzione per tre persone, il che significa che, in proporzione, una bottiglia da due litri di oggi, dovrebbe bastare per una famiglia di 12 persone. In questo mondo di fantasia, una bella pizza dovrebbe bastare per un’intera squadra di softball. Io non so voi, ma io riesco a spolverare una pizza intera da solo, e mi resta spazio anche per i grissini. Allora, che cosa è cambiato? I nostri stomaci si sono ampliati per contenere più cibo? Senza saperlo abbiamo sviluppato un nuovo intestino?
Abbiamo bisogno di PIÙ per essere soddisfatti, in ogni cosa. Questo significa più bibite, popcorn e patatine fritte, ma significa anche più sesso, alcol, televisione, informazione, e rumore. Di più dalle nostre mogli, famiglie, amici e dipendenti. Di più da noi stessi, anche. Di più per essere felici. Di successo. Soddisfatti.
Non c’è da meravigliarsi che sempre più persone stiano abbracciando il minimalismo, la semplice idea di aver bisogno di ‘avere di meno e vivere di più’. Un richiamo a fare ‘senza’. Era ora, per quanto mi riguarda, specialmente visto che io il mio iPad e il mio nuovo iPhone 5 ormai ce l’ho, a dimostrazione che il minimalismo è molto più invitante quando abbiamo già quello che vogliamo. Ovviamente la verità è che la maggior parte di noi abbraccerebbe il minimalismo con più probabilità in caso di tempi difficili, e infatti la recessione è terreno fertile per il reclutamento di nuovi minimalisti. Non appena perdiamo il lavoro, o ci ritroviamo con il conto in banca vuoto, cominciamo tutti a correre verso Walden Pond (cit. Walden – Henry David Thoreau). E non è una cosa orribile. La vita funziona spesso così. Con le difficoltà arriva anche l’opportunità di trasformare le disgrazie in un percorso verso un significato più grande. Tuttavia, io sostengo che il minimalismo non dovrebbe essere una risposta istintiva ai tempi duri. Non è solo il ‘piano B’ per la prossima crisi finanziaria. Il minimalismo è il nuovo ‘piano A’. Il nuovo grido di battaglia per vivere la vita più consapevolmente. Ma attenzione a non sbagliare. Non sto parlando di un minimalismo tipo “stacca la spina e produci il tuo formaggio”. Questo è un minimalismo nuovo e migliorato. È meno duro, più gentile, e non gli importa se ti tieni il tuo iPad. Ecco tre suggerimenti per iniziare oggi.
Suggerimento # 1: Tieni la Ferrari. Elimina l’attaccamento.
Il nuovo minimalismo non significa fare a meno, ridimensionare o negare se stessi. E questo significa che se vuoi una Ferrari o un paio di mutande da cento dollari, è giusto che cerchi di averle. Il nuovo minimalismo significa essere in grado di possedere cose, senza che le cose ci posseggano. I nostri beni non sono buoni o cattivi. È solo il modo in cui ci attacchiamo ai nostri beni che può portarci sofferenza. E questo è vero sia che si parli di un minuscolo monolocale sia che si parli di una villa sulla spiaggia. La maggior parte di noi non riesce a dare una definizione di questo attaccamento, ma conosciamo bene qual è la sensazione. È quella smorfia di dolore che ti viene quando vedi un graffio sulla tua nuova auto. Il modo in cui i tuoi occhi si gonfiano quando ti cade l’iPhone nella toilette. È il comprare qualcosa che non possiamo permetterci, il volere qualcosa di cui non abbiamo realmente bisogno, il credere che possedere ‘qualcosa’ ci possa far sentire completi. È un brutto labirinto in cui rimanere intrappolati, e c’è solo un modo per fuggire. Dobbiamo dimostrare a noi stessi che le “cose” non ci danno la felicità. Sappiamo tutti che questo è vero. Almeno a livello conscio. Ma in fondo, la maggior parte di noi si comporta come se non lo fosse. Suonerebbe benissimo scritto su un adesivo, ma è dura sperimentarlo, soprattutto perché sappiamo che… quelle scarpe Prada tempestate d’argento starebbero davvero bene ai nostri piedi! E quanto potrebbe migliorare il nostro golf con quel nuovo set di bastoni… Automobili. Vacanze. Maxischermi tv. Ci piace la nostra roba. Ora, niente panico! Non sto suggerendo di vendere subito tutto, o di donare tutto alla comunità Amish più vicina. Non abbiamo bisogno di sbarazzarci dei nostri beni. Abbiamo solo bisogno di dimostrare che possiamo vivere senza di loro. Afferra la mia mano e lo faremo insieme. Terapia di disintossicazione. Per un mese. Inizieremo con l’impegno tradizionalmente minimalista a smettere di acquistare o utilizzare cose nuove, costose e scintillanti. Questo significa che è il momento di mettere da parte tutte le cose migliori. Le gemme. I fiori all’occhiello. E non ci fermeremo qui. Una volta fatto questo, troveremo alternative economiche che prendano il loro posto. Sto parlando delle cose più brutte, più vecchie e più fuori moda che si possano trovare. La roba che ti vergogni di ammettere che possiedi. Le cose saranno diverse per ognuno di noi, ma si tratta essenzialmente dello stesso impegno: ‘usare’ molto meno di quanto si desideri fare. Usa il cellulare di tuo nonno, l’auto di tuo figlio, prendi i mezzi pubblici. Indossa abiti vecchi o scarpe ammaccate, usa mazze da golf rotte e attrezzature dello scorso anno. Trascina quel vecchio televisore fuori dal tuo garage. Blocca l’iPad, metti via i gioielli, e cambia quella costosa bottiglia di vino con quella in offerta che vendono al discount. Sii creativo. E, ricorda, questo non è un castigo. È la liberazione. Stiamo cercando di sentire cosa si prova a non aver bisogno di nulla. È una sfida a vivere la vita in modo diverso, a dichiarare che non è quello che noi possediamo che ci rende felici, ma ciò che facciamo con ciò che possediamo. Questa è Kryptonite per la recessione, ed è il sentiero che porta a una vita più semplice.
Suggerimento # 2: Consuma meno
Il nuovo minimalismo ci chiede non solo di perdere l’attaccamento verso i nostri beni, ma anche di aver meno bisogni in generale, nella vita. Siamo in grado di farlo, semplicemente consumando meno le risorse che ci circondano. Questo non significa che dobbiamo smantellare i nostri impianti di riscaldamento, o filtrare la nostra urina per avere l’acqua potabile. Ma sicuramente possiamo abbassare la temperatura di qualche grado e indossare una felpa in casa. Siamo in grado di tenere l’acqua chiusa mentre ci strofiniamo i denti con lo spazzolino. Possiamo usare meno tovaglioli di carta, meno plastica, meno energia elettrica. Docce più brevi. Lavatrici più cariche. Usiamo lo shampoo fino all’ultima goccia. Raschiamo il fondo del vasetto di burro di arachidi (per noi vale la nutella – n.d.r.). Possiamo mettere di meno nel piatto, di meno nella testa, e di meno nella lista dei nostri impegni. Siamo in grado di ridurre la televisione, i giornali, i film e magari smettere di comprare libri fino a quando non abbiamo finito quello che stiamo leggendo. Ci sono così tante aree della nostra vita in cui siamo in grado di consumare meno. Trova il tuo modo. Ma non viverla come se ti stessi autoinfliggendo chissà quale punizione. L’idea è semplicemente quella di chiedere a te stesso ciò che ti è realmente necessario, in modo da sentirti felice e soddisfatto. Scegli una frazione in più della minima quantità possibile, e sarai ufficialmente diventato un membro del nuovo movimento minimalista. Unisciti a noi al buffet ‘all-you-can-eat’ minimalista, dove viene servito… assolutamente nulla.
Suggerimento # 3: Riempi il tuo spazio con ‘più’
Questo è quello grosso, amici miei. Ci sono un sacco di cose che consumiamo in questo mondo, ma nessuna è più grande dello spazio. Ora, mi rendo conto che la logica suggerirebbe che tutti occupiamo più o meno la stessa quantità di spazio fisico. Ma la verità è che ognuno di noi ne ha in diversa quantità, a seconda di come usa lo spazio che ha a disposizione. Di come vive la propria vita. Certo, possiamo sostenere la nostra famiglia, pagare le tasse, o anche fare volontariato ogni tanto, ma non sempre è sufficiente. A volte abbiamo bisogno di fare di più. E sì, finalmente c’è un “di più” che possiamo abbracciare. Un “di più” che ci libererà da tutti gli altri “più”. L’ultima sfida per il nuovo minimalista è quella di smettere di succhiare prezioso ossigeno senza dare nulla in cambio. È una sfida a riempire lo spazio che abbiamo a disposizione di energia positiva, con il nostro esclusivo marchio fatto di entusiasmo, compassione e amore. È la nostra sfida a vivere una vita in cui cercare sempre nuovi modi per contribuire a migliorare il nostro mondo. C’è un vicino che ha bisogno di una mano? Una causa da poter abbracciare? Un amico che ha bisogno di una spalla su cui appoggiarsi? Come possiamo sfruttare il nostro tempo, il nostro talento e la nostra competenza, il nostro cuore, la mente e lo spirito, in modo da rendere questo mondo migliore? Questo è il nuovo minimalismo. Dare più di quanto otteniamo. Mettere dentro più di quanto portiamo fuori. Vivere in questo modo renderà la nostra vita più ricca e significativa di quanto avremmo mai immaginato. Oh, e indovinate un po’… Conservate comunque tutti i vostri giocattoli come fossero un regalo d’addio. Godeteveli quanto potete. Solo non sorprendetevi se un giorno vi sveglierete e vi renderete conto che non significano più quello che significavano una volta. E se il vostro iPhone cadrà nel water, non sorprendetevi se la vostra reazione sarà semplicemente quella di starvene lì a sorridere. È la sensazione della libertà. È il volto nuovo e migliorato del minimalismo.
Di questo articolo mi aveva colpito la parte iniziale, dove l’autore aveva legato la nuova ondata minimalista alla crisi economica che attanaglia il mondo occidentale. Nascono nuovi minimalisti, in soldoni, perché molta gente perde il lavoro e deve stringere la cinghia. Vero, e posso testimoniarlo in prima persona. Ho cominciato a interessarmi a queste tematiche solo dopo aver perso il lavoro. Anzi, anche più tardi. Esattamente quando i miei risparmi sono scesi sotto il livello di guardia. È normale, dice l’autore dell’articolo, succede sempre così. Però l’equazione è un po’ troppo semplice. Non è solo la perdita del lavoro. C’era qualcosa anche prima. Per come la vedo io è come se fino a quel momento stessi dormendo un sonno tranquillo e pieno di sogni. Poi è arrivata una secchiata d’acqua gelata, e non solo mi sono svegliato, ma piano piano si è anche rimesso in moto il cervello, fino a realizzare che quello che c’era prima era solo un sogno. Ma fra un sogno e l’altro, il cervello qualche obiezione la faceva, come si rendesse conto che il sogno aveva preso il sopravvento. Io lo sapevo che quello che stavo facendo era sbagliato, io lo sapevo che il mio stile di vita non poteva essere quello giusto. Che vivevo al di sopra delle mie possibilità. Ma lo facevo lo stesso, con una sorta di assurda fiducia non si sa bene in cosa, che le cose sarebbero comunque andate per il verso giusto. E cosa ben più grave: io lo sapevo che mentre il sabato pomeriggio ero in giro a fare shopping, dall’altra parte del mondo c’era un bambino che moriva per fame o per malattia. Ma agivo come se la cosa non mi riguardasse. Sì, mi infervoravo sull’argomento durante qualche discussione con gli amici, un dieci euro a Emergency ogni tanto, un 5 per mille all’AMREF, ma poi… c’è da organizzare le vacanze, c’è da andare al cinema, ci sono i saldi… non si può sempre stare a pensare a quelli che stanno male. Però il tarlo in testa ce lo avevo. E come me, sono convinto, il tarlo ce l’hanno anche tanti altri che però continuano a guardare altrove, perché tanto il lavoro loro ce l’hanno… e ci dobbiamo pur gratificare in qualche modo… e le vacanze vanno prenotate in anticipo… Forse ‘in nuce’ il minimalista in loro già c’è, come c’era in me. Allora, forse, dire che tanti diventano minimalisti perché è più facile diventarlo quando non ci sono i soldi, non rende giustizia al 100%. Bontà sua, poi, l’autore afferma che il minimalismo può essere anche un piano A, e non solo un piano B di reazione a una situazione di crisi. L’invito al decluttering, al distacco dalle cose che possediamo (e che ci possiedono), a razionalizzare e ridurre i consumi, è largamente condivisibile. È alla fine dell’articolo, però, che arriva il meglio. Perché se il minimalismo ci porta nella direzione opposta rispetto a dove si muove il capitalismo consumista, allora ci porta anche all’opposto dell’individualismo, dell’avidità ‘buona’, come la chiamava Gordon Gekko in Wall Street. E dunque verso l’altruismo, la generosità, verso l’impegno a migliorare il mondo, in qualunque modo possibile. Ce lo siamo sempre chiesto, no? Che ci stiamo a fare qui? Non è necessario devolvere l’intero stipendio ad una Onlus per dare significato alla propria vita. Può essere sufficiente dare una mano, o una spalla, al nostro vicino di casa o collega. Partecipare alle iniziative di quartiere. Usare un po’ del nostro tempo per costruire qualcosa che verrà usato da altri e non da noi. Queste piccole cose riempirebbero gradualmente di significato la nostra vita. E il nostro dirci… minimalisti.
P.S.: non sarò mai un vero minimalista, probabilmente. Ma mi riesce molto difficile pensare che riuscirei a starmene lì a sorridere tranquillo mentre il mio iPhone se va giù nello scarico del water…
Per la foto: qui
Interessante l’articolo (grazie per averlo tradotto!) e interessanti le tue considerazioni.
Io non ho potuto evitare di storcere il naso leggendo di un minimalismo “secondo crisi”, che pure esiste ma mi pare sempre un tantino gonfiato.
Forse perché, in generale, non sopporto di veder confondere il minimalismo (di qualsiasi stampo) con una, rispettabilissima ma non minimalista, sobrietà. Tirare la cinghia non equivale ad essere minimalisti, nemmeno se fatto con criterio.
Poi ho tirato un sospiro di sollievo leggendo il seguito, secondo me di un certo peso, a proposito di piano A & B.
Tuttavia, torna a bomba in conclusione un concetto sacrosanto ma che di nuovo sgancerei, o meglio differenzierei, dal minimalismo: l’avere un minimo di distacco dai possessi (di oggetti, di relazioni, e via discorrendo).
Minimalismo non è certo, per forza, possedere meno di x cose. Però non lo è nemmeno navigare nel marasma, perché – di qui la mia perplessità – per stare davvero bene abbiamo bisogno anche di spazio, di ordine, di una certa misura di pulizia (e sappiamo cosa intendiamo con questo).
Il “troppo” sarà anche relativo, ma esiste e pesa sulle spalle: non è dunque indifferente, neppure avendo uno spirito illuminato e libero, il trascinarsi dietro / vivere in mezzo a decine di oggetti oppure centinaia, o ancora migliaia.
Non so cosa ne pensi tu, mi piacerebbe scoprirlo.
La penso come te, mi pare di capire. Oggi, dipendesse solo da me, butterei via almeno metà delle cose che ho in casa. Non ne ho bisogno, e mi danno un certo fastidio. Da questo punto di vista cerco ed apprezzo la sobrietà. Però non mi sento ancor del tutto libero. Ho degli oggetti ai quali sono molto legato. E non è un discorso di sentimenti particolari. Semplicemente sono oggetti che uso e che mi piace usare. In un certo senso, ahimè, non sono io a possederli, ma loro a possedere me. Non per questo mi sento in difetto, pensando di voler abbracciare o di aver abbracciato una sorta di etica minimalista. In realtà convivo abbastanza bene con questo stato che riassumerei banalmente con un ‘pochi (oggetti) ma buoni’. Sono convinto che sia il rumore (quindi il disordine, lo squilibrio) a distrarci dal nostro percorso.
Grazie per questa riflessione. Trovo che sia veramente difficile liberarsi dall’attaccamento alle cose, continuando prima a desiderarle e poi a possederle. Certamente anche questa, come tutte le posizioni, non va intesa in maniera talebana, perché altrimenti si perde il senso di quello che cerchiamo di fare; si può forse fare un compromesso, continuando a desiderare una o due cose, quelle che consideriamo davvero irrinunciabili, come l’i-phone che non deve cadere nel bagno, liberandosi di tutto il resto. Questo ci aiuterà a capire che forse anche quella cosa o due non erano davvero necessarie, ma sono una piccola concessione a un atteggiamento che, pur non rendendoci felici, rimane sempre molto umano: quello di desiderare delle cose, spesso di desiderarne sempre di più.
Io penso che l’autore del pezzo abbia ragione dicendo che è più semplice ‘fare’ i minimalisti quando l’iphone e l’ipad già ce l’hai. Dove all’iphone e l’ipad ognuno può sostituire quello che preferisce. Credo però anche che il senso dell’essere minimalista (ammesso che un senso ce l’abbia 🙂 )vada aldilà del possesso di alcuni oggetti o di altri. Che possa esistere in diversi ‘gradi’, e che possa espletarsi in diversi modi. Insomma, agli antipodi da qualsiasi rigore… talebano o meno.
Ho letto con attenzione, rimane la mia domanda:
“A cosa serve uno spazio vuoto se non si ha prima la mente vuota?”
E poi, ma come si fa ad avere questa “mente vuota?”.
Inevitabilmente il discorso esce dai binari tecnicie si avvicina all’aspetto religioso della vita. Ma la religione è proprio quella che si vuole eliminare perché giudicata “ingombrante”.
Eppure solo la religione e la fede possono realizzare quello che l’autore dell’articolo propone, nient’altro. Quel distacco è possibile solo se si ha qualcosa di molto più grande su cui fare affidamento.
Ciao.
Io non sono d’accordo. Non ho bisogno di alcuna religione che mi dica che devo aiutare un mio simile. Ne devo per forza avere una qualche forma di fede. Mi è sufficiente la razionalità e al massimo un briciolo di spiritualità. Ciao
Beh, sarei anche d’accordo, il problema non è quello di essere d’accordo o non d’accordo. il problema è farlo. E se non c’è un motivo forte ed unificante, che travalica i confini della persona, allora, non si fa mai. D’altronde la storia è maestra, “Homo homini lupus”, non credo che sia possibile non essere lupi o preda di lupi) in assenza di un forte sentimento religioso ma anche unitario. Il dramma non è che la penso così, il dramma è che non sono mai stato smentito. D’altronde il nostro paese non sta cadendo a pezzi, è già caduto, per mancanza di un forte sentimento unitario, che può essere unicamente religioso in quanto, e questo è evidente, non è unito da nient’altro. Tranne forse che dalla nazionale Azzurra di calcio nel periodo dei tornei internazionali. Il problema non sono le intenzioni, ma i risultati. E, a mio avviso, senza un forte sentimento di appartenenza e trascendenza condiviso ciò che scrive l’autore sarebbe bello ma è impossibile. Non parlo di opinioni, ma di fatti che si osservano con onestà. Esercitare la “trascendenza” che propone è possibile solo quando si ha uno scopo trascendente. Non legato agli accadimenti immediati e invulnerabile agli stessi accadimenti. Non esiste una cosa del genere in un mondo vuoto di forti credenze, che oltrepassano i confini dell’immediato, della vita stessa.
Sì ma tu parli di spirito unitario, addirittura nazionale… Io credo che l’autore intendesse piuttosto una sorta di afflato individuale verso il prossimo che, seppur molto vicino all’etica Cristiana, viene letto quasi come necessità del singolo individuo di dare significato alla propria esistenza. Non so se mi spiego, effettivamente è un po’ paradossale: in pratica per avere piena soddisfazione nella mia vita… per essere io felice (quindi piena realizzazione dell’individuo), l’unico modo veramente efficace, è essere generoso verso gli altri. Posso comprarmi l’auto più fica del mondo, mille iPhone, duemila vestiti di Armani, ma l’obiettivo che voglio raggiungere comprando tutte queste cose, in realtà posso raggiungerlo solo cercando di migliorare il mondo in cui vivo. Agendo chiaramente nella mia sfera personale, senza pretendere di eliminare la fame nel mondo, per capirci.
Nemmeno penso che sia necessaria una fede specifica o l’abbracciare una religione qualsiasi. La compassione la possiamo trovare comunque nel nostro cuore, il desiderio di restituire qualcosa di quello che si è “preso”, di sentirsi utili agli altri, di fare del bene.
E quanto al distacco è lo stesso discorso: non è necessario credere in un essere superiore per realizzare che gli oggetti sono solo strumenti e non il fine della vita, e che quando tutto ci verrà tolto nel momento della morte ci resterà solo una cosa: noi stessi, quello che siamo stati.
È questo il punto. Riuscire ad ascoltare il nostro cuore quando intorno c’è un rumore assordante fatto di impegni, di lavoro, di incombenze, di intrattenimenti più o meno vacui. Riuscissimo ad ascoltarlo, probabilmente tutti sapremmo cosa sarebbe veramente giusto fare. Per tutto il resto, come scrivevo, basta anche la semplice razionalità.
Dopo anni di ricerca devo semplicemente dire che non credo che ciò che dite possa essere realizzato come “metodo” diciamo di vita, o minimalista, con costanza insomma. si, ci sono delle fiammate, ma non c’è un “sistema” che porti a vivere in un certo modo. La fede invece diventa un “sistema”, o meglio un modo di vivere che poi coincide con un’unità anche sociale, come effetto però, non come causa.
In sintesi: non cerco di vivere minimalista, ma finisco per farlo; non cerco di amare il mio prossimo ma è inevitabile farlo (perché la mia vita è impostata in un certo modo). Questa è la mia esperienza, poi se uno riesce a farlo senza la grazia della fede, beh, complimenti vivissimi, vuol dire che è già arrivato alla meta, ma dico sul serio. Se uno riesce a fare ciò di cui parliamo vuol dire che è già nella pace. Se non ha pace, vuol dire che vive un’illusione perché è impossibile vivere davvero un certo tipo di vita e non goderne i frutti, è impossibile. Vuol dire che si è ingannato.
Non riesco a capire questa tua necessità di ‘sistema’. Come se al singolo fosse negata la libertà di aiutare i suoi simili. Eppure ci sono tante persone che lo fanno senza appartenere a una fede. Ma credo che quello che importa veramente sia il risultato. Lo si faccia per amor proprio o perché guidati da una fede, l’importante è che lo si faccia con convinzione.
Non mi sono espressa, prima, sulla questione della fede; ma vedo che i commenti sono fioccati e provo a dire due semplici cose.
Sicuramente il minimalismo, in qualunque accezione o sfumatura l’intendiamo, ha un impatto sulla società e della società si interessa.
Eppure non leggo qui alcuna spinta a cambiare la società nè un esame di fattibilità, ma soltanto un consiglio sugli esiti che un certo stile di vita può avere sull’individuo.
Da non considerarsi un discorso individualista, però, perché ai miei occhi è naturale che il minimalismo attecchisca in primis, in genere, su un singolo e poi con tutta naturalezza trascini quel singolo in una serie di modifiche ai rapporti che intrattiene con gli altri.
Nemmeno io, pur declinando in parte le mie scelte prettamente minimaliste in senso cristiano, e leggendole in questa precisa luce; non ritengo affatto che al minimalismo si debba far precedere alcun sistema di pensiero “trascendente”.
Per il motivo che il minimalismo stesso è già sia un sistema aperto alla possibilità ma ben definito, sia un sistema che fa capo a criteri di ordine spirituale (e non religioso), quindi appunto trascendente, non appiattito su una serie di obiettivi ma elevato ed elevante.
Spero di non esagerare con i termini e di non apparire altisonante, ma tant’è. Io viaggio di letteralità, e questo è ciò che penso.
La carità non sta in piedi grazie alla fede, forse il contrario.
D’altra parte è quel che insegna, se non erro, la stessa Chiesa Cattolica: un “lontano” o un non cristiano può essere “di Cristo”, e di conseguenza salvato, vivendo come Lui ha vissuto, nonostante la fede diversa o addirittura assente.
Si può allora eccome agire e persistere con efficacia e soddisfazione (intesa come realizzazione vera e profonda dell’essere umano) pur senza fede, perché la sostanza dell’essere in Dio si sostiene e si esplica non certo “fuori” da tutti i sistemi, ma ad un livello più radicale.
E sia chiaro: non voglio ora sostenere che le religioni, e gli altri “sistemi”, le strutture necessarie a veicolare vari “metodi” di organizzazione della vita allo scopo di raggiungere quella che oso chiamare senza sconti felicità, siano inutili o interscambiabili – non vorrei finire in simili fraintendimenti anche qui!
Affermo però che il minimalismo, come una religione, è un sistema a tutto tondo, propone una serie di metodi, e come una religione può incorrere in forzature, fanatismi ma allo stesso tempo rende ragione autonomamente della propria validità.
(Meno male che dovevo scrivere due cose.
Spero di non essere stata troppo confusa).
Confusa non troppo. Sicuramente difficile per me che la religione in questi 44 anni l’ho a malapena sfiorata. Però mi capita spesso che alcuni miei pensieri trovino una certa attinenza con precetti religiosi (per quel poco che li conosco, almeno). E così non mi sfugge come molti aspetti del minimalismo trovino una sorta di parallelo nella religione, in quella Cristiana almeno, che è quella che conosco più di altre. Questo mi piace, perché comunque ho sempre riconosciuto a chi crede, veramente, quella sorta di nobiltà d’animo, di equilibrio esistenziale e di pace interiore che sono fra gli obiettivi che si pone chi si interessa e, a vario titolo, vive, una qualche forma di minimalismo. Non mi piace considerare il minimalismo una religione (non ho mai sentito affermazioni del genere peraltro), ma mi piace che ci siano dei punti di contatto.
io veramente intendevo qualcosa di diverso e riferito al pezzo dell’autore: ciò che scrive è possibile solo se vi sia una spinta di natura profonda, trascendente, religiosa, altrimenti non è possibile. O se lo è diventa un sacrificio e basta, senza bellezza. Tutto qui.
Poi certo, un uomo che conduca (davvero) una vita “religiosa” per forza di cose è minimalista, perché, per definizione “abbandona tutti i vacui pensieri e si dedica ad una cosa sola” o a poche cose, insomma non gli interessano diecimila cose, che ce l’abbia o non ce l’abbia non cambia niente perché ne fa a meno quando vuole, ammesso che qualcuno gli chieda di farne a meno, il senso è che non vi è attaccamento. Come scrive l’autore del pezzo, non meno cose ma meno attaccamento ad esse.
Direi che la pensiamo allo stesso modo, su questo, allora 😉
(Mi rivolgevo ad adf).
Ripeto, il sistema è come, non so, “l’eduzazione”.
Se uno “educa” i propri figli avrà un motivo. Gli da un “sistema” di valori. Ecco, è lo stesso. Non basta ad un genitore che il proprio figlio sia 2libero” vuole anche che sia libero all’interno di un sistema, che non sia una libertà distruttiva insomma. E’ tutto molto semplice e immediato.
Cmq non credo che ci sia tutto questo amore nel mondo, credo che domini l’avidità “sistematica”, quella sì. Solo un “sistema” (fondamentale, religioso) può porre argine. Poi è chiaro che la libertà è innegabile, però nel nostro paese ad esempio se ci fosse meno “libertà” (nel senso di meno abuso, corruzione, prevaricazione, mancanza di regole condivise) e più “disciplina” (regole e leggi uguali per tutti) penso che il nostro paese non sarebbe condannato come è adesso.
Spero di sbagliarmi e che fluisca un tale amore dalle persone da sanare questa situazione da giungla predatoria, individuale e collettiva.
Ciao.
Sì ma siamo passati a parlare di altro. Un conto è dare significato alla propria esistenza cercando di migliorare il mondo intorno a noi, un conto è insegnare ai propri figli ad essere onesti. Non mi sembra, e lo dico con dispiacere, che la condivisione di valori fideistici per non dire religiosi, ci abbia messo al riparo da abusi, corruzione e prevaricazioni.
“Non c’è da meravigliarsi che sempre più persone stiano abbracciando il minimalismo”
Questa è un’opinione dell’autore del pezzo. Si dimostra facilmente che nei paesi ricchi e poveri in realtà si vuole in realtà di più.
ciao.