Minimalismo, downshifting e fine dell'economia
by albi69
Uno dei più interessanti blog d’oltreoceano, The Minimalists, ha pubblicato oggi un post su un argomento molto attuale, e che è stato affrontato qualche volta anche qui in Italia, limitatamente al piccolo contraddittorio che si è creato intorno alle esperienze di PecoraNera o di Simone Perotti, o al discorso più generale della Decrescita Felice. I due autori del blog, e di alcuni interessanti testi sul tema del minimalismo, sono spesso in giro negli States per incontrare i propri lettori, e godono di una certa attenzione da parte dei media americani.
Ebbene, dicono che una delle domande più comuni che viene loro posta è: “Ma se diventassimo tutti minimalisti, la nostra economia non crollerebbe?”. Millburn e Nicodemus, questi i nomi dei due autori, rispondono semplicemente che se guardassimo le cose con il necessario distacco, ci accorgeremmo che l’economia sta già andando a rotoli (per quanto riguarda quella italiana non è forse neanche necessario questo distacco). Aggiungono poi che l’errore che si compie, è proprio quello di voler risolvere il problema con ‘il problema’. Cercare di stimolare un’economia che è già ‘sovrastimolata’ “è come dare una bottiglia di Jack Daniels a un ubriaco” per fargli passare la sbronza. Secondo loro non è l’economia che ha bisogno di cure, e non è il capitalismo ad essere guasto. Il problema saremmo piuttosto noi, che siamo diventati famelici ed eccessivamente auto-indulgenti, e così meno felici che mai. Convinti di poter comprare la felicità, abbiamo speso montagne di denaro per montagne di oggetti che abbiamo accumulato e di cui non abbiamo realmente bisogno. “È come la mattina dopo il party, ci fissiamo allo specchio e non sappiamo come fare per far sparire questo mal di testa martellante”. L’unico modo per risolvere il problema, secondo The Minimalists, è cambiare il nostro modo di vivere, di consumare, di prendere decisioni. Non tutti diventeranno minimalisti o saranno in grado di vivere consapevolmente. Ma basare la propria vita sulla vita dell’uomo medio significa essere infelici, perchè l’uomo medio è infelice. E voi cosa ne pensate? Siamo noi a doverci dare una regolata o c’è qualcosa che non va nel funzionamento dell’economia? E il capitalismo è ancora un sistema sostenibile?
Il malessere non è inevitabile, affatto, anzi. Credo addirittura che sia abbastanza semplice uscirne fuori. Basta uscire fuori da sé stessi. Ma nessuno vuole rinunciare a sé stesso, Si vuole perseguire la propria volontà e stare male, piuttosto che vivere la realtà così com’è facendo sparire il malessere.
Lungo discorso, diciamo che mettere insieme i propri desideri e la propria felicità reale è molto difficile, spesso confliggono, però non è facile scoprire in che modo.
Tutto vero. Abbandonarsi alla realtà senza perseguire i propri desideri non è certo un modo di vivere attraente, né edificante. Fatti non fummo per viver come bruti… E i nostri esideri sono troppi e troppo grandi per esaudirli tutti. Siamo destinati alla sconfitta? C’è sconfitta e sconfitta…
Ciao,
se la soluzione è individuale e non collettiva, qualunque cosa facciano gli altri non ha importanza. Qualunque sistema economico – sociale – politico – addirittura morale – vengono assorbiti da una mente equilibrata e di per sé pacificata. Se una persona ha il necessario e ha trovato in sé la sua “soluzione”, addirittura si disinteressa del tipo di mondo in cui vive. non vuol dire che non partecipi, anzi, partecipa qualunque sia il tipo di mondo, senza cercare di cambiarlo. Ed è uno stadio che taglia fuori tutti i discorsi su come dovrebbe essere il mondo e il giudizio sul mondo stesso. Rimane solo l’azione ma non il giudizio o pre-giudizio.
La soluzione è sicuramente individuale, ma la portata di tale principio è devastante, vuol dire che non hai bisogno di cambiare il mondo, ma solo di accettarlo così com’è: la soluzione è solo dentro. Già crederci è una conquista impareggiabile.
Ciao,
beh io ho lasciato un po’ perdere questi temi perché hanno tutti lo stesso buco di fondo e non è colmabile.
Premetto che le analisi svolte sono corrette, ma ne parlava già molto bene, naturalmente, Karl Marx, con un grado di profondità che non si può chiedere a degli autori moderni non economisti, la “droga economica” e il bisogno di crescita illimitata erano non solo pericoli ma danni già ben visibili a fine ottocento, e il corpus di scritti anarchici e rivoluzionari fa impallidire qualunque dilettante (in senso buono) di oggi. Personalmente adoro il “diritto all’ozio” di Paul Lafargue (1880), tra l’altro era il genero di Marx, un creolo davvero interessante, leggere quello e buttare gli scritti attuali perché se uno riesce a inquadrare la realtà economica e sociale in maniera così profetica vuol dire che ha davvero una marcia in più, anche dopo 130 anni.
Premesso che le analisi sono abbondanti, e veritiere, il problema di fondo è che gli autori che ho incontrato finora propongono “soluzioni” economiche chiaramente demagogiche, in alcuni casi davvero degne del cabaret. Sono cose piene di buon senso, ma se fossimo capaci di buon senso il mondo sarebbe un paradiso senza necessità di altro. E’ come dire “non peccare”. E’ cosa piena di buon senso, ma si ruba, si uccide, si odia, si invidia, e tutto quanto l’armamentario, ugualmente. Applicare il buon senso all’economia non è una soluzione in quanto, naturalmente, non funziona. Vedansi al proposito i lavori del premio nobel per l’economia Daniel Kanheman, che tra l’altro è uno psicologo, non un economista, il secondo psicologo nella storia insignito del nobel per l’economia.
Questo per la parte “economica”. Poi c’è il “buco” più grande, che mostra proprio tutta la pallidità, la superficialità del ragionamento, si fa risalire l’infelicità ad un “eccesso di consumo”, il consumo diventa tema centrale ma in negativo invece che in positivo, è una visione speculare del mondo in cui viviamo ma nient’affatto innovativa, solo speculare: “consumare di più” e “consumare di meno”. E’ ovvio, spero che la felicità o infelicità non dipendono “da quanto si consuma” ma neppure da “quanto non si consuma”. Sono due sintomi di un male dell’anima, ma per niente centrali, il disagio reale è dentro, non dipende dal consumo o non consumo, e posso assicurare per esperienza diretta che non è una variazione del consumo a realizzare l’uomo, sia una variazione in più o in meno. Lo so perché provengo da una terra povera in cui moltissimi sono assolutamente al riparo da tentazioni consumistiche ma non è quello che fa la differenza e non è quello che risana un’anima.
E’ questo il problema di fondo, a parte la fragilità, l’inesistenza di una teoria economica valida e applicabile, si fa risalire il malessere umano al consumo (o all’eccesso di consumo) ed è chiaro che questo non sposta se non di qualche decimale il grado di soddisfazione vitale.
Aggiungo che, personalmente, sono vegetariano, viaggio coi mezzi, non prendo l’aereo, faccio da dodici anni vacanze a km zero, non frequento locali, riparo da me le mie cose e le sfrutto fino all’osso, e tutto l’armamentario di un minimalista involontario, e so che non è quello che realizza o non realizza la vita di un uomo. sono cose a cui ci si aggrappa sperando che la risposta sia lì.
Ciao.
Il tuo commento mi ha inizialmente esaltato (non conosco Kanheman, mi hai incuriosito) e in seguito… depresso. Probabilmente quello che dici è corretto, e ad uno stile di vita ‘al minimo’ non corrisponde né può corrispondere una teoria economica valida. Però sono convinto che la soluzione al malessere non possa essere collettiva, ma solo individuale. E che pertanto non valga la pena cercare un ‘cappello’ sotto il quale mettersi tutti al riparo. Il mio parere è che il cambiamento in sé non possa essere che positivo. È chiaro che è più facile cambiare per chi guadagna 3000 euro al mese, che per chi ne guadagna 1000 e non può permettersi di scegliere uno stile di vita diverso da quella che è pura e semplice sopravvivenza. Io prima guadagnavo bene, avevo un impiego che stupidamente consideravo ‘fisso’ e spendevo i miei soldi per cose che ritenevo necessarie e di cui oggi invece faccio tranquillamente a meno. Oggi che sono costretto a vivere più o meno alla giornata, rimpiango di quel periodo il senso di sicurezza (economica e non solo) che avevo, ma di certo non rimpiango il fatto che mi potevo spendere i soldi in vestiti, cd, cinema e ristoranti, che tappavano dei buchi temporanei ma che non mi facevano certo sentire felice. Il mio cambiamento di stile di vita non è stato scelto ma imposto. Oggi provo un senso di malessere diverso da quello di prima. E che in realtà riguarda più in generale il futuro di mio figlio, della mia famiglia, le prime necessità. Guardandola dall’esterno sto peggio di prima: oggi non so se riuscirò a pagare il mutuo di casa, e probabilmente sarò costretto a venderla, prima magari mi intristivo perché non riuscivo a comprarmi una macchina nuova. Però qualcosa dentro è cambiato. Oggi so che se domani avrò di nuovo un buon lavoro, non commetterò mai gli errori di prima, non ricomincerò a vivere per spendere come facevo fino a qualche anno fa. Ho acquisito una consapevolezza che prima non avevo. Sono cambiato, e in questo senso mi sento meglio. Il cambiamento, ancorché non avvenuto per scelta, è stato positivo. Come dicevo ora il mio malessere nasce da altre cose, ma una soluzione possibile c’è (non è semplice considerato il momento attuale, ma c’è). Il malessere di prima non aveva soluzione, o almeno ne aveva di false. O forse c’era ma non ero in grado di vederlo. Mi sto aggrappando a qualcosa sperando che la soluzione sia lì? Possibile. Ma non voglio arrendermi all’idea che il nostro sia un malessere cosmico, senza via d’uscita, connaturato con l’uomo. Piuttosto sono disposto a continuare a cambiare, a cercare. Intanto voglio ringraziarti per l’attenzione che riservi a questo blog. I tuoi commenti sono sempre molto graditi. Ciao.
vedo che ha colpito anche te quel post 😀
ha dato spunto anche a me… 😛
Beh, loro sono proprio forti…